Quell’asse Giulio-Lega che il Cav vuole far saltare

Berlusconi e Tremonti sarebbero ai ferri corti. Non è la prima volta che tra il premier e il ministro (il più filoleghista tra i suoi uomini) ci sono scintille. E non sarà probabilmente l’ultima. Il punto è ovviamente un altro. Per quale motivo all’interno del governo avvengono attriti di questa portata?
La prima secca ipotesi riguarda la situazione politica nel suo complesso. Il governo ha un problema: non ha opposizione. Il gabinetto di Berlusconi è inciampato sempre e solo per cause interne. Il centrosinistra non sembra proprio avere un progetto alternativo; non ha una parola d’ordine vincente e utilizza sempre l’antiberlusconismo come suo collante. Troppo poco per rappresentare un pericolo. L’inesistenza dell’opposizione amplifica le differenze di posizioni all’interno della maggioranza. Conviene sempre ricordare che lo stesso Pdl è un melting pot di origini politiche: in cui convivono liberali, socialisti e democristiani. Le differenze con gli ex An e con i leghisti, arricchiscono il quadro. E il leaderismo della struttura regge meglio, quando il nemico è alle porte. Non quando le truppe nemiche sono allo sbando.
Vi è però un secondo aspetto, che riguarda i rapporti tra Governo e Tremonti. Il ministro dell’Economia con una mano dispone delle risorse da spendere (Tesoro) e con l’altra delle leve per raccattare quattrini (Finanze): viste le dimensioni del bilancio pubblico, si tratta di un potere non indifferente. Tremonti ha saputo con grande abilità dosare le uscite e ha spinto sul recupero di gettito fiscale. Avrà pure un «caratteraccio» come molti suoi colleghi lamentano, ma andate a parlare di carattere a greci, irlandesi, portoghesi e spagnoli che oggi debbono subire i simpatici errori dei loro governi spendaccioni. Berlusconi riconosce evidentemente questo grande merito al suo ministro, ma non può bastare.
L’economia italiana è almeno da quindici anni in convalescenza, ed è chiaro che per uscire dall’impasse si debba osare. Le strade all’orizzonte sono due. Quella abbozzata da Amato, confusamente tratteggiata nelle note di un documento governativo inviato alla Ue e filosoficamente avallata dal Quirinale: una misura tributaria straordinaria, una sorta di patrimoniale per abbattere il debito pubblico. Sarebbe un disastro. In alternativa una riforma fiscale radicale che riduca il gettito per le casse dello Stato, ma nel contempo preveda un taglio della spesa pubblica in Italia. Non intacca subito il debito, ma sradica la malattia del big government.
Si ha l’impressione che forte del suo successo, anche internazionale, e della sponda leghista Tremonti sia più preoccupato della tenuta del sistema, qui e subito.

Mentre Berlusconi voglia uscire dall’imbarazzante condizione di essere ricordato come il premier che è riuscito a «vivacchiare» durante gli anni della grande crisi economica.
Ecco perché conviene guardare con grande attenzione agli attriti di queste ore: di mezzo non c’è solo la durata della legislatura, ma ci sono anche i nostri quattrini.

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