Quell’autunno che al massimo sarà tiepido

Autunno caldo? Liberazione parla di «Rettori sulle barricate», il Manifesto titola «Ora lo sciopero». Ma non è facile mobilitare chi è concentrato sul salvare il posto di lavoro. Inoltre il cuore del lavoro dipendente privato ha compreso come la via per aumentare i salari sia la trattativa aziendale per incrementare e ridistribuire la produttività. Ma - obietta l'ala dura della Cgil - solo una parte delle imprese fa accordi aziendali. Ma è quella «parte» dove i lavoratori sono più preparati, nerbo delle lotte sindacali, stanchi di lottare per aumenti uguali per tutti invece che di concentrarsi sugli incrementi di reddito da realizzare in azienda.
Ci vuole, certo, un quadro di riferimento a un nuovo tipo di contratti più concentrati sulle aziende. Di questo si discute con la nuova Confindustria e su questo si registra la volontà di Cisl e Uil a fare presto, e i capricci della Cgil, che rimanda di qualche settimana la trattativa a oltranza sulla «base di inflazione» per la definizione dei nuovi contratti nazionali. Gli imprenditori propongono di partire dalla inflazione rilevata su scala europea depurandola dall'«importata» per evitare che aumenti slegati dalle economie nazionali (o in questo caso continentali) importino consistenti aumenti di prezzi determinando la spirale senza fine tra salari e prezzi degli anni Settanta. C'è anche la disponibilità a riconoscere, poi, una quota di produttività media per i lavoratori delle aziende dove non c’è contrattazione articolata. Oggi restaurare una sorta di piena scala mobile come 25 anni fa, sarebbe disastroso per un'economia che non ha neanche più la valvola di sfogo della svalutazione.
Dunque c'è una base realistica per un accordo. Certo, sarebbe utile un fisco che aiutasse la difesa dei redditi da lavoro dipendente. E questo in parte è stato fatto con una prima detassazione di straordinari e premi produttivi. Però un programma di detassazione progressiva può essere affrontato solo se la spesa pubblica, cresciuta di qualche punto con il governo Prodi, rientra sotto controllo, se le comunità locali vengono responsabilizzate sui fronti delle entrate e delle uscite dal federalismo fiscale. La parte più cosciente del lavoro dipendente ha presente la situazione e accetta un programma graduale. Si è vista come è restata sola la Filcams Cgil (anche rispetto ai lavoratori) quando non ha firmato un accordo (siglato invece dalle organizzazioni della Cisl e della Uil) che dava flessibilità a un commercio in difficoltà.
Ma nell'impiego pubblico, sottratto ai rischi del mercato e dei licenziamenti, non esploderanno invece le lotte? In questi mesi anche questo settore della società ha acquisito consapevolezza della situazione e dei rischi che correrebbe a volerla forzare. Le reazioni sindacali alle mosse del governo, comprese le scelte di rigore, sono prudenti. Alla fine la società italiana è «una» e anche le lotte più corporative devono trovare un supporto sociale per poter sperare di vincere.

Nel recente inquadramento della segreteria Cgil è avvenuto che Guglielmo Epifani, per reggere la sua traballante guida della confederazione, si sia appoggiato sulle categorie industriali riformiste (chimici e tessili) e massimaliste (metalmeccanici), isolando il pubblico impiego. Se oggi Epifani spingesse sulle lotte della pubblica amministrazione troverebbe più di un suo sindacalista «industriale» che - come è già successo - si dichiarerebbe più d'accordo con il governo che con la Cgil.

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