Quella «casta» cresciuta sulle macerie della guerra

La prima protesta dell'Italia democratica contro la «casta» è cominciata quando i tedeschi occupavano ancora il territorio nazionale. Nella Roma appena liberata dagli Alleati, infatti, il 27 dicembre 1944 arriva in edicola un nuovo settimanale: L'Uomo qualunque, direttore Guglielmo Giannini.
Comincia così l'avventura politica del giornalista e commediografo napoletano che a cavallo degli anni '40, con il Fronte dell'Uomo Qualunque, sarà l'interprete più immediato e diretto della «maggioranza silenziosa». Quella, per intenderci, che fin dai primi vagiti della Repubblica, istintivamente, rifiuta il «balletto» partitico tutto nostrano, vizio deformante di una prassi democratica riservata comunque ai «soliti noti».
E a dare ascolto ai moniti protestatari del padre e leader indiscusso del «partito del torchietto», c'è da scoprire più di un'affinità con quanto succede oggi, sessant'anni dopo, nei dorati palazzi del potere. In fondo, rischiando di essere «qualunquisti», espressioni come, «Abbasso tutti!» o «Hanno fatto della politica un mestiere», interpretano il pensiero di tanti, tantissimi italiani, amaramente consapevoli di essere più sudditi che cittadini.
Il «fenomeno Giannini» è stato letteralmente passato ai raggi x dal giornalista e scrittore Carlo Maria Lomartire, che lo propone nel saggio Il qualunquista (Mondadori, Le Scie, 18 euro). Un'analisi esemplare sotto il profilo cronachistico; completa nell'approfondimento del panorama politico, economico e sociale dell'Italia del dopoguerra; appassionante come un racconto d'avventura. Già, un'avventura: come la vita politica (e non solo) di Guglielmo Giannini.
Lomartire, già caporedattore per l'economia del Tg5, vicedirettore di Studio Aperto, attualmente vicedirettore di Videonews e firma del Giornale, affronta un personaggio scomodo della nostra storia recente, attraverso il quale delinea in un quadro a tinte forti ma sempre equilibrate i vizi (tanti) e le virtù (meno) di un sistema politico e di potere - quello italiano - che ha trovato nel clan il modello ideale e permanente per affermare e confermare se stesso. L'autore non «tiene» dichiaratamente all'interprete dell'«antipolitica». Ma si capisce lontano un miglio che gli sta simpatico. Perché Giannini è uomo intelligente, colto, mai banale. Persino paradossalmente raffinato nella sua spregiudicata crociata contro il «potere costituito». E soprattutto, qualità (o difetto, a seconda dei punti di vista) non da poco, onesto. Spesso onestà e ingenuità vanno a braccetto.

Così il vasto consenso (in un primo momento soprattutto al Sud, per poi espandersi anche al Nord) raccolto dal movimento e dal suo leader, «sincero democratico», come lo dipinge Lomartire, di sentimenti liberali e repubblicani, avrà vita breve. Svanirà come una meteora, vittima di se stesso. E della «casta».

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