Quella medietà che evita le cadute di gusto

Torna ad onore di Giorgio Panariello e Gianmarco Mazzi l’avere scelto, nel redigere il cast di Sanremo 2006, la via di una savia medietà. Un’aura di oraziana aurea mediocritas, che è cosa diversa dalla mediocrità, spira infatti dall’elenco degli artisti in gara: niente, o quasi, nomi mirabolanti, ma nemmeno occasioni di sconforto emergono dalla lista comunicata ieri, in un regime di equidistanza vuoi dalle vette estreme della genialità vuoi dagli abissi della futilità. Né De Gregori né Pupo, sembrano aver pensato i due direttori artistici, consapevoli che Sanremo rimane, certo, la patria del canzonettismo d’evasione, ma che solo una blanda iniezione di qualità può risollevare il festival dal baratro del canzonettismo più becero, che negli anni ne ha segnato, anche commercialmente, il declino.
Ecco dunque il ritorno di Ron, autore nobile e per niente legato agli stereotipi del mercantilismo a sé stante, e l’esordio di Noa, grande artista ora in coppia con Carlo Fava, cantautore di vivido talento. Ecco Povia che l’altr’anno, pur fuori gara, diede alla kermesse il suo momento più applaudito, Nicky Nicolai che con Stefano Di Battista fornì all’ultimo festival una delle sue più liete sorprese, e Dolcenera, artista maiuscola - il suo nome d’arte deriva da una canzone di De André, e la scelta è altamente emblematica - ancorché rivelata al grande pubblico da un reality show, a riprova che il fine, spesso, giustifica i mezzi. Quanto ai Nomadi, è evidente che la loro presenza, unita ad una storia lunga e gloriosa, regala al festival un brivido in più, e un solido quarto di nobiltà.
E gli altri? Da Alex Britti, autore di vena evanescente ma raramente banale, e ancora da Grignani, Zarrillo, Luca Dirisio difficilmente ci si potranno attendere capolavori epocali o arditezze stilistiche, e lo stesso vale per la Oxa, Spagna, Sugarfree, Simona Bencini, ZeroAssoluto e anche per Mario Venuti, che pure vanta un curriculum rispettabile, nobilitato da collaborazioni con Franco Battiato. Ma tutti sono collocabili su quella linea di plausibile medietà, che dovrebbe proteggere il festival da devastanti scivoloni. Quanto alla Tatangelo e ai Figli di Scampia, il gruppo di Gigi Finizio, hanno entrambi alle spalle Gigi D’Alessio, e questo esige una cauta sospensione del giudizio, in attesa d’ascoltare i brani che l’una e gli altri proporranno.
Il che vale, d’altronde, per tutti gli artisti in gara, siano essi donne, uomini, gruppi reali o - ce ne sono - gruppi fittizi. Quanto agli esclusi, amareggia la bocciatura di Al Bano, ma insieme conforta: forse la sua canzone meritava di essere ammessa, e di certo lui l’avrebbe cantata benissimo.

Ma il tourbillon gossipparo cui, negli ultimi mesi, l’artista non ha saputo sottrarsi, minacciava di calamitare l’attenzione dei media, trasformando il festival in ulteriore ribalta del leccisismo: prospettiva invero agghiacciante.

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