Caro direttore,
io ci andrei anche alla manifestazione per la libertà di stampa in Piazza del Popolo a Roma. Ho idea però che avrei difficoltà a sventolare la mia bandiera. La libertà di scrivere per me (direi per noi, se permetti) temo non la vogliano proprio. Costoro pretendono di essere l’universo, il tutto della libertà, il pensiero degli altri, la storia degli altri, è res nullius, un cane annegato nel mare. Quella di oggi è una manifestazione da razzisti, la pretesa per una razza superiore di descrivere quella inferiore, sezionarla, ridurla al rango di maschera (Berlusconi è Testa di Asfalto, tu Littorio, io - nel mio piccolo - Betulla).
Mi sono nominato, ohi. Il fatto è che discutere in astratto non mi viene. Nei giudizi risento della mia esperienza. Tanto vale dichiararsi. Sono contrario a prescindere a questa manifestazione per la libertà di stampa perché a indirla e poi a organizzarla, quindi a farcene sopra un battage assordante, sono quelli che io sento come persecutori miei, tuoi, della nostra gente. L’ordine dei perseguitati risente di un certo egocentrismo, mi rendo conto, ma mi viene così. Il sindacato unico dei giornalisti (Federazione nazionale della stampa italiana, Fnsi), quando chiuse il settimanale Il Sabato nel 1993 non indisse nemmeno un minutino di solidarietà per noi giornalisti cattolici di serie B. (Mi desti una mano tu - e me la diedero anche Gad Lerner ed Enrico Deaglio). Ti seguii a Libero. Gelo iniziale. Dopo un mesetto dalla nascita di questo tuo quotidiano che pure aveva creato, senza investimenti di nessun capitalista, una quarantina di posti di lavoro, la Fnsi ci augurò la morte. Letteralmente. Paolo Serventi Longhi, il segretario nazionale, dichiarò che questo giornale era bene chiudesse, avendo pubblicato la lista dei pedofili condannati e questo era disgustoso. Quando poi tu fosti, con una decisione ridicola dell’Ordine dei giornalisti, provvisoriamente radiato per la stessa ragione, il capo della congrega che ora invoca libertà era contento come Dracula a un funerale: «Vuol dire che l’Ordine ha accertato la gravità dei comportamenti di Feltri». Poi vincesti il ricorso, nonostante la camarilla di sinistra (e non solo) ti votasse contro. Poi, la mia vicenda. Quando venne fuori la storia della mia collaborazione al Sismi per ragioni che non sto ora a difendere, ma che ancora rivendico, fui appeso per i piedi, senza nemmeno ascoltarmi. Parlo dei dirigenti sindacali, tutti (o quasi) in fila a chiedere il mio suicidio. Protestarono quando ritennero troppo mite una sospensione di un anno, insistettero per la radiazione che fu infine accordata nonostante mi fossi dimesso dall’Ordine. E Repubblica, che ora chiama tutti a seguirla nel linciaggio di Berlusconi? Direttore e cronisti non hanno cessato per un istante di inseguirmi. Mi hanno sbattuto in prima pagina per un mese, pubblicando le mie telefonate anche private, interpretate in vista dei loro scopi politici, indifferenti al fatto che avrebbero distrutto una persona. Non ci sono riusciti. Non è che io abbia una gran tempra, ma tu e i miei amici sì. Dunque credo che la battaglia di questi signori per la libertà di stampa somigli molto alla loro faccia di bronzo.
Dimmi chi ti convoca e ti dirò perché. Ecco: chi ci convoca è gente che fa del male alle persone per un calcolo politico. Così in questi mesi - e non c’è alcun paragone con le mie vicende - costoro (Fnsi, Federazione nazionale della stampa) e Repubblica sono stati solidali in una campagna di destabilizzazione del sistema e di denigrazione dell’Italia all’estero puntando il mitra contro la vita privata delle persone, spiattellata e vilipesa. In questi giorni costoro hanno dato a te dell’omicida e del «sicario» (alla Camera).
Io non ci sto. Una libertà di stampa così è veramente una roba da farabutti, e non mi importa se copio la formula da Berlusconi, perché è una descrizione perfetta della realtà di briganti che caratterizza oggi il potere, il quale è anzitutto potere sulla coscienza e dunque si gioca sull’informazione. E qui vincono, anzi stravincono loro. Occupano il territorio, come mentalità dominante armata del bazooka della carta e della tivù alla moda. Sono la casta vera, assai più potente della politica. Ed è quella della finanza svizzera e inglese, di cui De Benedetti è forte rappresentante, nonché padrone del gruppo storicamente più influente negli ultimi decenni, quello di Repubblica-Espresso, con vasta rete di quotidiani locali, e penetrazione straordinaria nelle televisioni, ma anche e soprattutto nella testa dell’80 per cento dei giornalisti dovunque essi lavorino. Infatti - è risaputo - le scuole di giornalismo hanno per direttori e professori gente di sinistra, orfani dell’Unità, pensionati di Repubblica o di una Rai consacrata alla sua storia secolare di compromesso storico.
E allora come si fa a stare con quella piazza lì? Sono l’Antitalia, sprofonderanno.
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