Tutto comincia vent'anni fa quando un mercante d'arte di Lugano acquista a un'asta in Russia una serie di quadri di pittori del primo trentennio del Novecento aderenti al movimento del Realismo socialista. Le opere, una quindicina tra cui alcune tele di grandi dimensioni (1 metro per 2), finiscono nella cantina del collezionista. Il pittore Ezio Cella vede delle foto delle opere e rimane molto colpito dagli olii dipinti con estrema abilità e dal forte impatto visivo.
Da qui l'idea di farne una mostra per portare alla luce e alla conoscenza del pubblico opere dimenticate. Mostra che resterà aperta allultimo piano del palazzo Coin di piazza Cinque giornate al 18 giugno.
«Oggi non si vedono più molte mostre di pittura - commenta Cella - ci sono mostre fotografiche, performance, installazioni, ma poca pittura. La produzione artistica del Realismo, sia dell'Ottocento che quello socialista, non è molto conosciuta. La dimostrazione sta nel fatto che ho invitato alcuni critici d'arte per avere un loro parere su questi quadri ma nessuno ha osato esprimere un giudizio perché impreparato sull'argomento».
Gli artisti all'epoca della dittatura stalinista hanno subito una sorta di oblio forzato in patria, esattamente come è successo da noi con Sironi, volutamente occultato dalla critica italiana per decenni perché fascista, come racconta Cella. D'altra parte, chi nell'Unione Sovietica del tempo osava prendere le distanze dalla arte imposta dal regime per tentare le vie della sperimentazione veniva allontanato. Si pensi a Kandinskji. Vladirik Fuzzov, in mostra con «La famiglia», Vicktor Erimenco con la serie «Eroe del lavoro» e «Ritorno dai campi», Andrei Girnov con «Allevatore di vitelli» e l'artista, anonimo, di «Crollo della miniera» seguirono i diktat imposti dal regime, che voleva un'arte che portasse alla ribalta la vita degli operai e dei minatori, della campagna, il popolo.
Non è un caso che il quadro simbolo dell'esposizione «Realismo socialista» sia proprio «Uscita dal lavoro» di Michail Birukov, per alcuni accostato al «Quarto stato» di Pellizza da Volpedo nell'introduzione del catalogo. «Colpisce l'opera di Birukov "Uscita dal lavoro" - scrive Dario Cella - che ritrae un gruppo di tre uomini e una donna che stanno lasciando il lavoro. I toni sono grigi, gli abiti poveri e consunti, i visi trasmettono la durezza e la difficoltà della vita in fabbrica, ma si sottolinea sempre la dignità del lavoro».
Anche ne «La famiglia» di Fuzzov, una famiglia numerosa rappresentata da tre generazioni, si sente lo spirito dello stalinismo, in quel desiderio di esaltare la fatica, e la dignità al tempo stesso, di una vita di duro lavoro, «tanto da ricordare l'opera di Permeke», come scrive Cella. Non solo crudo realismo, però. Il «Crollo nella miniera» è una tela di forte impatto emotivo: i corpi pesanti buttati per terra, i volti sconvolti del famigliari dei minatori morti, i colori cupi degli abiti, interrotti da vesti rosse e bianche, supera le imposizioni del regime per andare oltre, nell'indicibile incubo vissuto dai minatori.
«Sfido molti pittori di oggi a dipingere con questa tecnica e con la stessa carica emotiva - conclude Dario Cella - ci sono dei veri artisti dietro questi quadri, tanto che alcuni di loro sono quotati in Russia intorno ai 50mila euro».
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