Quella sinistra di potere che vuole liberi i No Tav (e non i commercianti)

Enrico Silvestri

Liberi i No Tav, liberi di esprimere il loro «dissenso» in piena «agibilità politica». Mezza maggioranza di Pisapia ha firmato un appello per la scarcerazione dei quattro «compagni» arrestati per i disordini della Valsusa. Li conosciamo bene - sostengono in pratica i firmatari - possano stare fuori, «senza misure restrittive preventive che pregiudichino i loro affetti, il loro lavoro e studio, il loro impegno sociale». L’iniziativa si riallaccia in pieno alla triste linea dei «compagni che sbagliano» e alla tragica sottovalutazione del tema-violenza a sinistra.
Ma nella lotta politica l’uso delle parole è decisivo, e il potere di cambiare nome alle cose è da sempre un’arma cruciale della sinistra e del suo doppiopesismo. Edulcorare da un lato, forzare dall’altro. Il gioco delle parole, però, non sempre riesce. Le parole, a volte, vanno in corto circuito. È successo ieri, quando - nelle stesse ore in cui l’appello era reso noto - Palazzo Marino ha diramato un intervento ufficiale per stigmatizzare quelli che ha definito gli «inaccettabili toni violenti dei commercianti». Cosa è successo? I commercianti di zona 1 si sono riuniti in assemblea sulla discussa Area C: ne è scaturita la decisione di manifestare in piazza della Scala, martedì, contro quello che è stato definito un «provvedimento terroristico» che «ci sta uccidendo». Parole forti, scaturite da una diffusa esasperazione che attraversa la categoria, già colpita dalla crisi economica, da una pressione fiscale sempre più alta, e - ora - da una misura che provoca danni economici già quantificati come rilevanti. Toni infelici, forse, come la stessa Confcommercio ha rilevato prendendone le distanze. Ma secondo il Comune, addirittura «toni violenti ed evocativi davvero di ben altri e tristi episodi». Parole che - secondo il presidente della commissione Ambiente e consigliere del Pd, Carlo Monguzzi, spostano «la discussione di merito sul piano inaccettabile della rissa».
È evidente come un giudizio del genere strida col vecchio grido di battaglia «Liberi tutti, liberi subito», dedicato al movimento No Tav, da una lunga lista di nomi aperta dal presidente del Consiglio comunale Rizzo. L’elenco sterminato delle firme comprende molti signor «nessuno» ma anche qualche personaggio noto. Come i consiglieri Luca Gibellini, Sel, Anita Sonego consigliera della lista «Sinistra per Pisapia» e dieci consiglieri di zona. C’è poi l’ex consigliere regionale comunista Luciano Muhlbauer, «ufficiale di collegamento» con l’area antagonista. Poi Daniele Farina, leader del Centro sociale Leoncavallo, e Vittorio Agnoletto, portavoce del social forum di Genova 2001. Infine ciliegina sulla torta, Saverio Ferrari, esponente dell’ultra sinistra negli anni ’70 poi arrestato per il sanguinoso assalto al bar di Largo porto di Classe noto «covo di fascisti». Durante le perquisizioni in casa gli vennero trovati in casa voluminosi dossier sui «nemici del popolo» tra cui anche quello su Sergio Ramelli, massacrato di botte nel 1975 a 19 anni. Anche lui garantisce per gli arrestati. E fra gli arrestati c’è anche il suo omonimo Paolo Maurizio Ferrari, 67 anni, l’irriducibile militante Br, uscito nel 2004 dopo aver scontato 30 anni di galera per terrorismo. «Libertà per Nicolò, Maurizio, Lollo e Marcello» chiedono i firmatari, sostenendo che «non si deve criminalizzare il movimento di dissenso alla Tav». Eppure, giova ricordare, nel corso della manifestazione di luglio quel dissenso si concretizzò in 200 tra poliziotti e carabinieri finiti all’ospedale.


Se davvero oggi, per la sinistra che amministra Milano, il vero pericolo per una dialettica democratica e civile viene dai commercianti che manifestano contro Area C, e non dai No Tav e della grande area grigia che li sostiene e li blandisce, questo vuol dire che un uso ideologicamente viziato (e infine esso stesso intollerante e violento) delle parole, è ancora attuale.

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