Politica

QUELLA SVOLTA CHE (ANCORA) NON C’È

An esce unita dalla sua assemblea nazionale, confermando la fiducia alla leadership di Gianfranco Fini con un voto plebiscitario, ma è difficile non vedere che sono ancora aperti tutti i problemi che hanno segnato questa lunga e tormentata crisi che riguarda direttamente il ruolo e il futuro della destra democratica. Nello stesso modo, è difficile non vedere che l'Udc, anch'essa unita nell'eleggere per acclamazione Marco Follini, resta immersa nei grandi dilemmi che in questi anni ne hanno messo a dura prova la coesione proprio sulla sua principale ambizione, quella di rappresentare compiutamente in Italia lo spirito della cultura popolare europea. Questi due importanti appuntamenti che hanno dominato il week-end hanno forse contribuito a definire meglio gli assetti interni di forze decisive della Casa delle libertà, dopo il terremoto delle regionali e del referendum. Ma, se è possibile interpretare il senso dell'ampio discorso pronunciato ieri dal presidente Casini, tutto ciò non basta perché oggi in discussione è l'intera prospettiva del centrodestra e gli orizzonti, in termini di valori e di strategia programmatica, che esso deve offrire al Paese. Il che vuol dire che le difficoltà di ciascun soggetto politico dell'alleanza, e delle stesse leadership, non sono risolvibili separatamente od isolatamente. Che c'è bisogno di qualcosa di più.
Non credo che sia stato casuale il fatto che un tema - dato frettolosamente per archiviato appena pochi giorni fa - sia riemerso con una discreta forza nella discussione di questi giorni sia in An che nell'Udc. È il tema del nuovo soggetto politico, della «casa comune dei moderati», e dell'inizio del processo costituente che deve dargli concretezza. Ed è riapparsa la consapevolezza del fatto che questo progetto, nonostante gli ostacoli che incontra, sia un luogo più agevole di quelli oggi esistenti, per cominciare a rispondere in modo più compiuto alle domande che non si pongono solo le élite, ma in primo luogo quegli elettori che hanno scelto la Casa delle libertà non solo per darsi un'alternativa alla sinistra, ma per i valori da proporre e per le scelte riformatrici da attuare. Del resto, la parola «costituente» ha un significato preciso: vuol dire, in questo caso, determinare una svolta nella «storia italiana» iniziata nel 1994, trasformando l'alleanza in un polo con al centro un vasto soggetto politico unitario. Ricordando che solo i protagonisti di questa storia, a cominciare da Silvio Berlusconi, hanno i titoli e i requisiti per avviarla.
Tutto porta a questo bivio. I singoli soggetti politici dell'alleanza sono alle prese con un problema di identità e di progetto che investe l'insieme della coalizione, al termine di un decennio in cui sono radicalmente cambiate tutte le coordinate non solo della crisi italiana, ma di quella europea e di quella mondiale. La difficoltà di An non è riducibile - banalizzabile - ad un conflitto fra Fini e i suoi «colonnelli», perché troppo intenso è stato il percorso iniziato a Fiuggi per non vedere che oggi c'è il punto di arrivo di una stagione della destra. L'identità dell'Udc non può essere definita solo come la derivata di una spazio residuale che riguarda la minore o maggiore vicinanza alla leadership di Berlusconi, ma è piuttosto il rebus irrisolto della rappresentanza di quel mondo, riapparso in proporzioni inattese con l'ultimo referendum e in forme diverse da quelle ereditate dalla «questione democristiana». Discorsi analoghi sono possibili per Forza Italia.

In questo week-end si è visto che nessun orto del centrodestra è ormai in grado da solo di produrre frutti migliori dell'altro, senza ridare al comune terreno quei valori e quella volontà di innovazione di cui gli italiani hanno bisogno per poter vedere un orizzonte.

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