Nostro inviato a Ceppaloni (Benevento)
I suoi due telefoni hanno squillato per tutto il giorno, e lui è stato chiamato da tutti, ha parlato con tutti, dal Canada al vicino della casa a fianco. Ma soprattutto, ieri, nei suoi «volontari» autoarresti domiciliari al fianco della moglie, Clemente Mastella ha parlato con tutti i dirigenti di primo piano dellUnione: Massimo DAlema, Walter Veltroni, Romano Prodi, e poi i leader, i sindaci, i dirigenti del suo partito, tutto il gruppo parlamentare che si è trasferito nel Sannio per una spedizione a metà strada fra la solidarietà politica e la guerra lampo.
Ieri, a tutti quelli che gli hanno parlato, Clemente Mastella ha ripetuto che la sua scelta è irrevocabile. E che adesso i giochi sono tutti riaperti. A quelli che lo scongiuravano di restare nel governo, come Romano Prodi, ha detto: «Scusa Romano, ma se noi nel governo non ci stiamo più, visto che giustamente linterim te lo prendi tu, è anche evidente che lUdeur nella maggioranza non cè più». E poi ha snocciolato un discorso diverso ai suoi alleati, un discorso che è intessuto di considerazioni politiche ma anche emotive. Più di una persona fra quelle con cui ha parlato, gli ha sentito ripetere quellimmagine, che lui definisce terribile, cioè il discorso delle sue dimissioni alla Camera, ci sono tutti gli emicicli affollati e i deputati, e poi, dallaltra parte, a rappresentare il governo, ci sono solo due persone, lui stesso e Vannino Chiti con alcuni interlocutori. Laneddoto si è fatto quasi sarcastico: «Ma come, con tutti i vicepremier che abbiamo, non ce nera uno che passava da queste parti?». I vicepremier, ovvero, Francesco Rutelli e Massimo DAlema. Ma anche tutti gli altri, sottosegretari, colleghi di maggioranza: «Cera solo Vannino, capisci, Vannino, uno a cui voglio un bene della madonna». A tratti invece laneddoto, lo stesso aneddoto dellaula trasformata in una fossa dei leoni in cui Clemente diventava un lottatore solitario, si tingeva di amarezza: ma come, ragionava lex ministro, e tutte le altre volte che sono corso io a difendere gli altri? Tutte le altre volte in cui siamo stati compatti nei ranghi, magari per Padoa-Schioppa? E poi cè stato quel Porta a porta che lo ha sconvolto, quello in cui «leroico Mauro Fabris» si è ritrovato da solo contro tutto e tutti a difendere il campanile. Ma come, quelli del Pd non hanno trovato nessuno, neanche un povero Cristo da mandare?
In queste ore Mastella, che dice di pensare alla famiglia e non alla politica, ne fa una questione di lealtà prima di ogni altra cosa. Dice che preferirebbe che qualcuno lo attaccasse o che dissentisse da lui piuttosto che quella solitudine, quel senso di abbandono. Però, poi, non gli piace neanche Tonino Di Pietro, e in serata fa uno strappo alla sua consegna per esternare davanti ai giornalisti delle agenzie che sono appostati davanti alla villa di Ceppaloni il suo dispetto per latteggiamento tenuto dal ministro dellItalia dei Valori: «Il dissenso politico è una cosa, lo sciacallaggio è unaltra». Il vero punto, però, il nodo politico, non è il preludio a un cambio di schieramento, Mastella lo ha ripetuto a raffica, a tutti: «Io sono uno che pensa che la correttezza sia finire la legislatura nello stesso schieramento in cui si viene eletti». Dopo di che, è evidente che non cè bisogno di grandi deroghe a questo principio di coerenza autoimposta. Perché nel momento in cui Mastella e lUdeur hanno «le mani libere» la legislatura segnata da una maggioranza traballante al Senato non è che possa durare poi tanto. E infine, cè lultima considerazione, il chiodo fisso di Clemente.
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