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Quelli che boicottano l’Italia del lavoro

Sono due storie solo apparentemente scollegate. La vicenda dei supermercati Esselunga che si dicono, e a buon ragione, sfavoriti da una giunta locale che strizza l’occhio alle locali cooperative. E la protesta dei dipendenti della Scala, che decidono di scioperare per una rappresentazione, ma non accettano di essere lasciati a casa per le prove della medesima rappresentazione. Morale: lo sciopero dei furbetti. Si paghi e poi si vedrà; si corrisponda il salario per il tempo necessario a fare le prove e gli esercizi, e poco (...)
(...) importa se proprio quegli esercizi non serviranno a un accidente.
Ebbene c’è un filo rosso che lega queste due storie. C’è un’Italia che la mattina si sveglia, si prepara un rapido caffè e corre a lavorare. E c’è un’Italia che la mattina si sveglia, magari un po’ più tardi, e come primo pensiero ha quello di «fottere» i simili.
La storia di Caprotti è davvero incredibile. Il fondatore dell’Esselunga dicono che abbia un cattivo carattere. Dicono che abbia fatto fuori dall’azienda financo suo figlio, perché non gli aggradava il suo modo di intendere il futuro dei supermercati. In realtà il signor Caprotti non esercita l’ipocrisia come mezzo di sopravvivenza. Si confonde dunque il carattere con il «democristianismo», con la capacità di fare un sorriso al proprio nemico, di arrivare a tutti i costi al compromesso. Caprotti non ha un brutto carattere, semplicemente ne ha uno. Se compra un terreno a Modena, dove un piano di riqualificazione prevede che si costruisca un supermercato e lo paga tutto sull’unghia, pretende che il market si costruisca. E se arrivano gli emissari delle potenti coop che gli chiedono di «fare a mezzi», insomma di mettersi insieme senza farsi una guerra commerciale, non ci sta. Ecco se si presentano questi signori, Caprotti dice di no. E se lo minacciano di trasformare l’area acquistata in una destinazione d’uso diversa da quella originariamente pensata, Caprotti compra due pagine intere sui quotidiani e spiattella tutta la storia. Ha più di ottanta anni, Caprotti, e non ha alcuna voglia di farsi prendere per i fondelli. Soprattutto non ha alcuna voglia di cercare un compromesso. Ci si batte contro la presunta violazione della libertà di stampa che questo governo con una brutta legge starebbe cancellando e nessuno alza un dito su una presente, attuale, conclamata violazione del diritto di proprietà. Un ente locale contribuisce a calpestare un diritto sacrosanto e naturale e noi ci voltiamo dall’altra parte: è il solito Caprotti, con il suo caratteraccio. Eh no, non è il solito Caprotti. È qualcuno che si batte per tutti noi. È qualcuno che quella zona grigia di traffici con la politica non l’accetta. Sia chiaro abbiamo preso il caso Esselunga e Modena, e dunque la sinistra, perché abbiamo trovato un imprenditore che in modo clamoroso ha fatto la sua denuncia. Ma ogni ente locale, nel suo piccolo, alimenta interferenze di questo tipo contro i nostri sacrosanti diritti di proprietà e di libera impresa. Quanti hanno la forza di comprare due pagine sui quotidiani? Quanti, in tanti settori, hanno la forza di sbattere in faccia al potente di turno la propria indisponibilità a trattare su un proprio diritto? Un nostro lettore ci ha scritto raccontandoci di come per costruire un piccolo ricovero per attrezzi nel suo campo, del costo di 8mila euro, abbia speso 11mila euro per produrre la documentazione necessaria e passato le pene, burocratiche, dell’inferno. Questo piccolo imprenditore che cosa poteva fare, se non arrendersi all’impasto perverso fatto da politica e burocrazia locale. Non tutti hanno la forza di Caprotti. Il sovrintendente della Scala, che è pagato con le nostre tasse, pretende che i propri dipendenti, che sono pagati con le nostre tasse, non facciano i furbetti dello sciopero. E che se decidono di astenersi dal lavoro e mandare così a monte una trasferta programmata da tempo, non ci prendano per i fondelli ammazzandosi di lavoro nel provare esattamente per quella trasferta che hanno già deciso di non fare. Ecco scatta così un meccanismo opposto al caso Esselunga. Poveri dipendenti degli enti lirici: sfruttati da quattro mascalzoni di politici che per di più tagliano le risorse per i medesimi enti lirici. Qua si taglia la cultura in Italia; qua si gioca con il nostro futuro. Qua si gioca con la nostra tradizione secolare. No cari: qua si gioca solo con quattro rumorosi furfanti (tanti lavoratori lirici immagino che siano di altra pasta) che se ne approfittano.

Se la nostra tradizione viaggia sulle gambe di questi sindacalisti, meglio cancellarla per sempre. E il sovrintendente della Scala faccia come Caprotti, si vesta, diciamo così, di cattivo carattere o almeno di un carattere, e continui per la sua sacrosanta strada.

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