Quello «scoop» contro Vizzini: dopo le smentite resta il fango Su «Repubblica» sospetti sul senatore Pdl e Saverio Romano, deputato Udc: «Cassieri della mafia». Ma per l’accusatore Ciancimino jr «è tutto inventato»

Che scoop, ragazzi, un colpo giornalistico di quelli che suscitano invidia, protagonista, manco a dirlo, la Repubblica e le sue firme migliori. Di sicuro a distanza di poche ore dallo scoop rimane solo Palermo, ma non era vero il pentito, non erano veri i presunti corrotti, forse non è vera neanche quell'inchiesta. Alla fine è rimasto solo un articolo sospetto a dir poco, per tempi affrettati, modi arroganti, mancanza di verifiche, deduzioni politiche pesanti, consueta pratica di compiacente propalazione a uso di magistrati inquirenti amici, sprezzo delle persone additate e colpite senza prova alcuna. Per fortuna in molti quel giornalismo non amiamo praticarlo.
«Così Vizzini riciclava il mio denaro», «Palermo: Ciancimino jr accusa il senatore Pdl e Saverio Romano, deputato Udc. Ora indagati», «Da viveur a testimone di giustizia, il figlio di don Vito fa tremare Palermo», sono i titoli privi di dubbi. Si legge che Massimo Ciancimino (nella foto tonda) uno dei cinque figli di Vito, che fu sindaco dc di Palermo e fu condannato per associazione mafiosa, sta collaborando con la Procura e, nel testimoniare in un'indagine sulla cosiddetta trattativa fra Stato e mafia subito dopo le stragi del 1992, ha raccontato di aver dato rispettivamente 900 milioni di lire a Carlo Vizzini e 100 milioni di lire a Saverio Romano. Il primo riciclava il denaro dei Ciancimino perché era una sorta di socio occulto, il secondo prese la valigetta con il denaro quando era sottosegretario al Lavoro del precedente governo Berlusconi.
Roba forte, e se metà Procura di Palermo diffida, e ritiene Ciancimino jr un tipo socialmente pericoloso, l’altra metà, segnatamente il procuratore aggiunto, Antonino Ingroia, e il sostituto, Nino Di Matteo, gli crede e lo ritiene un testimone chiave. Di sicuro gli credono i magistrati che hanno spifferato la notizia, e il giornale che la pubblica.
A mezzogiorno un impeccabile servizio del telegiornale regionale trova il pentito, gli chiede conferma, lui smentisce tutto. Dichiara: «Tutto quello che leggo non corrisponde a quello che è nei miei colloqui con i magistrati». Aggiunge di non aver mai conosciuto Vizzini e di aver qualche volta incontrato di sfuggita e scambiato qualche parola di circostanza con Romano. Fine della storia e fine dello scoop.
Non fosse che con paginate di immondizia come questa si montano, non solo in Sicilia ma soprattutto in Sicilia, accuse difficili da dissipare, almeno mediaticamente, peggio che si rischia di fare in questo modo l'antimafia, fidando ciecamente nel teorema secondo il quale l'intreccio fra politica e criminalità è ancora dominante ed è la pista da seguire sempre e ad ogni costo.

Uno fa il presidente della Commissione Affari Costituzionali ed è membro della Commissione Antimafia, il secondo è deputato nazionale, segretario organizzativo nazionale e segretario regionale di un partito, l'Udc? Non importa, non conta, basta la parola di un pentito qualunque. In questo caso non c’è neanche il pentito.

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