La Quercia non riesce a sfuggire alla morsa in cui è stata stretta. Appare disarmata e priva di argomenti. Teneva tutto il suo armamentario tattico e strategico puntato contro il centrodestra. Convinta della sua forza marciava con orgogliosa sicurezza verso un'egemonia completa sull'Unione, ha faticato ad accorgersi dell'incisività dei colpi indirizzatigli contro da alleati ed amici. Colta alla sprovvista, non trova la misura di una risposta. E, quanto più passa il tempo, quanto più si definisce l'intreccio tra politica e affari rivelato dal caso Unipol, quanto più cedono i pilastri della sua identità, a cominciare dal mito della diversità sussunto dall'ultimo Berlinguer, tanto più appare come un gigante dai piedi dargilla. Probabilmente neanche chi ha scatenato questa guerra civile a sinistra, immaginava un simile effetto. Forse scommetteva su un lento logoramento, su un riequilibrio dei rapporti di forza. Mentre - come ha notato ieri Giuliano Ferrara - già «vacilla il fronte interno dei Ds» e soprattutto si apre lo scenario di un possibile superamento della vera grande anomalia che penalizza il sistema italiano: l'anomalia rappresentata da un partito post-comunista rimasto in mezzo al guado, incapace di scegliere tra neo-massimalismo e riformismo, forte di un bacino elettorale e di una struttura di potere ereditata dal vecchio Pci a cui non è riuscito però a dare un nuovo senso nell'era del bipolarismo, destinato a scomparire quindici anni fa ma sopravvissuto solo grazie al vuoto aperto da «mani pulite».
Con un paradosso: la crisi, latente da lungo tempo, non è stata aperta da una dialettica politica, da un vero confronto sulle scelte con gli alleati, da una riflessione sul presente e sul futuro, ma da un nuovo intervento della magistratura. È proprio questo che induce a pensare soprattutto ad una guerra civile, con le sue colpevolizzazioni, le sue delegittimazioni, le sue rese dei conti che investono le leadership. Ma anche in questo caso una guerra civile anomala, perché alle cannonate giudiziarie la Quercia risponde balbettando. Non ha nel suo arsenale strumenti all'altezza dell'attacco che le è stato mosso. E, anche se li avesse, non potrebbe usarli contro amici e alleati né tanto meno contro i suoi «mariuoli», che rappresentano tutti la grande rete tessuta in questa stagione bipolare. Non saprebbe sparare contro la magistratura che indaga sull'Unipol né lanciare un ultimatum esplicito alla Margherita. Ecco perché resta al Botteghino solo la strada del trinceramento nella sua struttura di potere, del vittimismo di partito e di coalizione, del tentativo di salvare il salvabile della sua storica supremazia. Sperando magari in qualche ciambella di salvataggio. Ma chi può lanciarla?
Chi ha sparato il primo colpo non ha alcun interesse a cercare una tregua, perché sa che solo in questo modo si è potuto porre concretamente il problema del progressivo superamento dell'anomalia rappresentata dalla Quercia. E che solo così l'area del centrosinistra potrà cercare forme, in primo luogo il Partito democratico, e politiche nuove (magari anche la costituente di Montezemolo), attrezzandosi per affrontare la grande questione dell'evoluzione del bipolarismo italiano, quella che già si chiama Terza Repubblica.
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