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"Qui è un inferno, senza luce né cibo"

Gaza, nei quartieri colpiti. "I missili sono caduti a un passo dalla mia casa. Ma dove scappiamo?". "L'eltettricità va e viene, uscire per la spesa è un incubo. Basta, vogliamo solo la pace"

"Qui è un inferno, senza luce né cibo"

È il peggiore dei quartieri dove vivere a Gaza oggi: a 50 metri dai palazzi ministeriali, a 150 dall’università islamica, a due chilometri da uno dei più importanti quartier-generali delle forze di sicurezza. Tutti bombardati dall’aviazione israeliana a partire da sabato. Noura al Masri ha 24 anni, è decoratrice di interni. Abita in centro a Gaza City con madre, padre e tre fratelli. Fino all’estate del 2007, quando Hamas ha preso il potere nella Striscia, neutralizzando ogni forma d’opposizione, era un’attivista di Fatah, partito del rais Abu Mazen. Lunedì notte - ha raccontato al telefono dopo essere riuscita a lasciare la zona più bersagliata - i missili cadevano a pochi metri dalla nostra abitazione: «Si sono rotti tutti i vetri e la porta di casa». I suoi vicini sono fuggiti. Il quartiere è troppo pericoloso. Hanno raggiunto i parenti in altre parti della Striscia. Ma il resto della sua famiglia è in Cisgiordania e in Siria: lei e i suoi non avevano dove andare. «E poi dove possiamo veramente andare? Hamas è ovunque a Gaza: con le sue associazioni caritatevoli, i suoi uffici... da nessuna parte si può essere sicuri».
Oggi, secondo indiscrezioni della stampa israeliana, il gabinetto dovrebbe discutere a Gerusalemme la possibilità di un cessate il fuoco unilaterale di 48 ore. Ma le forze di terra restano comunque pronte a entrare in azione. Gli abitanti di Gaza escono il meno possibile, o non escono proprio. «Se mi chiama domani le racconto com’è fuori, vado dal droghiere, devo andare a comprare cibo. Sì, qualche negozio è aperto, non i fruttivendoli perché i valichi sono chiusi e non passano quindi provviste ed è troppo pericoloso per i camion circolare». Helena Kleibo lavora in un’organizzazione non governativa britannica e vive proprio nel centro della città. Anche lei vicino ai palazzi ministeriali. «Questa notte li hanno bombardati ancora. Colpiscono prevalentemente posti delle forze di sicurezza, edifici amministrativi, case di comandanti militari». È la moglie di un artista e intellettuale di Gerusalemme, professore universitario. La figlia adolescente fa avanti e indietro tra la Striscia e la Città Santa. «Grazie a Dio non è qui. Sono sola a casa, l’elettricità va e viene ma il condominio ha un generatore che dà luce alla sera. Trascorro la giornata scrivendo, ma a mano. Niente computer senza corrente».
Secondo Melena, i bombardamenti hanno un solo effetto sulla popolazione: «Siamo stufi di tutti: Hamas, Fatah, gli israeliani. I cittadini della Striscia vogliono stare tranquilli». È d’accordo Mahmoud al Rahma, che lavora in un’organizzazione per i diritti umani, Al Mezan. Eppure, dice, l’errore degli israeliani è credere che gli abitanti di Gaza diano ora la colpa ad Hamas per quello che sta succedendo. Il giovane è appena tornato da un “sopralluogo“ di un sito bombardato. «Lo facciamo soltanto quando è possibile: andiamo a vedere cosa è stato colpito e prendiamo nota. Ma su 30 persone, siamo soltanto quattro a lavorare, il resto dei colleghi è a casa». Racconta che sabato, nei primi quattro minuti dell’operazione, gli israeliani hanno bombardato tutti gli obiettivi sensibili: caserme, quartier-generali, uffici amministrativi. L’attacco ha piegato la struttura della sicurezza messa in piedi da Hamas nei 18 mesi del suo controllo su Gaza. «Non sempre è così: siamo appena tornati da un sopralluogo e il camion colpito conteneva bombole d’ossigeno.

Alcune case rase al suolo sono abitazioni di capi militari del movimento, altre sono vuote, ma ci sono state tragedie: appartamenti civili toccati dai bombardamenti, con gli abitanti all’interno».

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