Cultura e Spettacoli

Quindici esperti sceglieranno il film italiano

Michele Anselmi

da Roma

Occhio alle date: è dal 1998, dall'exploit di La vita è bella, che un titolo italiano non compare nella cinquina riservata al «miglior film straniero» (a Hollywood significa girato non in inglese). Sembra una maledizione. Non vi riuscì Fuori dal mondo nel 1999, I cento passi nel 2000, La stanza del figlio nel 2001, Pinocchio nel 2002, Io non ho paura nel 2003, Le chiavi di casa nel 2004. Ogni volta i film designati dall'Italia, al di là del loro valore, sono stati rispediti al mittente. Sarà anche per questo che l'Anica, un po' la Confindustria del cinema, ha deciso di modificare sistema: a scegliere il film da spedire all'Academy Awards in rappresentanza dell'Italia non sarà più l'affollata giuria dei David di Donatello, quasi un migliaio di persone, bensì una snella commissione messa a punto insieme all'Api (Autori e produttori indipendenti) e all'Unpf (Unione nazionale produttori film).
Giusto? Sbagliato? A occhio una decisione ragionevole, nel senso che, in materia di Oscar, non si tratta di estrarre dal cilindro il film più bello in assoluto, bensì il più adatto - per storia, confezione, ambientazione - a farsi amare dai giurati americani, piuttosto conservatori in fatto di «italian movies». Ma se la decisione è ragionevole, forse addirittura necessaria alla luce dei sopra menzionati insuccessi, non si spiega il bizzarro clima di segretezza che avvolge la composizione della commissione. All'Anica, in verità, preferiscono parlare di «riservatezza», nel senso che sarebbero stati alcuni dei giurati più illustri a sollecitare l'anonimato, al fine di evitare «telefonate, letterine, pressioni». Nondimeno, i produttori che entro oggi, martedì 20, pagando 500 euro a testa, candideranno i loro film («distribuiti tra il 1° ottobre 2004 e il 30 settembre 2005», recita il regolamento), hanno tutto il diritto di sapere chi giudicherà, vaglierà e sceglierà. O no?
Eccoli, allora, questi benedetti nomi. Nel comitato figurano i produttori Pio Angeletti, Tilde Corsi, Aurelio De Laurentiis, Riccardo Tozzi (in quota Unpf), Domenico Procacci, Roberto Cicutto, Angelo Barbagallo, Lionello Cerri, Sandro Silvestri, Andrea Occhipinti (in quota Api), l'esperta in vendite estere Paola Corvino, il critico Fabio Ferzetti, lo sceneggiatore Vincenzo Cerami, lo scenografo Dante Ferretti e il regista Bernardo Bertolucci. I magnifici quindici si riuniranno il 28 e il 29 settembre per individuare il film giusto da inviare a Los Angeles, e il 3 ottobre renderanno pubblica la decisione nel corso di una conferenza stampa. Una decina o poco più i titoli che si contenderanno la designazione, e vedrete che la partita finale si giocherà tra La bestia nel cuore di Cristina Comencini, Cuore sacro di Ferzan Ozpetek, Le conseguenze dell'amore di Paolo Sorrentino e Manuale d'amore di Giovanni Veronesi.
Commenta Barbagallo, storico socio di Nanni Moretti nella Sacher: «A me sembra una commissione seria, composta, sottoscritto a parte (sorride, ndr), da persone competenti. Naturalmente riconosco che un problema esiste. Alcuni dei votanti, magari i più bravi, dovranno esprimersi su film da loro prodotti e presentati. Sarà un banco di prova». Neanche un dubbio, allora? «Be', personalmente preferivo il voto allargato, legato ai David di Donatello, più democratico e rappresentativo. Ma tanto le polemiche nascevano lo stesso».
Tirandosi fuori dalla mischia (La seconda notte di nozze esce l'11 novembre), Antonio Avati, fratello di Pupi, non nasconde qualche perplessità, a partire dalla «riservatezza». «Perché non devo sapere chi mi valuta? Non entro nel merito dei nomi, anche se avrei preferito meno produttori e più tecnici: direttori della fotografia, montatori, musicisti... Inoltre, se fossi stato interpellato, avrei suggerito di cooptare nel comitato anche i corrispondenti delle più autorevoli riviste americane di settore, ad esempio Variety e Hollywood Reporter. Hanno il polso della situazione, conoscono i gusti dell'Academy».
Alla fine, l'unico a gioire davvero sembra Gian Luigi Rondi, gran patron dei David. «Sono sollevato, si torna all'antico sistema. Dover scegliere il film italiano per l'Oscar è stata un’incombenza fonte di vari grattacapi. Mi auguro, a questo punto, che il risultato sia più conforme alle esigenze del mercato americano». Ce lo auguriamo tutti.

Un ennesimo «no» sarebbe piuttosto imbarazzante.

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