
«Squilibri», così li chiama Sergio Mattarella. Scompensi che «le dinamiche del mercato concorrono ad ampliare» e che non si possono ignorare. Succede infatti che «tante famiglie sono sospinte sotto la soglia di povertà, nonostante il lavoro di almeno uno dei componenti», proprio mentre «supermanager godono di remunerazioni centinaia o persino migliaia di volte superiori a quelle dei dipendenti». Succede pure «che si creino differenze tra generazioni, territori, tra uomini e donne». E intanto dilaga il «preoccupante fenomeno dei contratti pirata»: meno diritti, meno soldi in busta paga. Insomma, se ne occupi la politica.
E così, premiando al Quirinale le Stelle al merito del lavoro, nelle ore in cui il governo vara la Finanziaria, il capo dello Stato riapre il dibattito sul salario minimo. Giorgia Meloni gli dà ragione. «Sappiamo che in Italia c’è un problema di retribuzioni, ma non si risolve da un giorno all’altro».
Qualcosa però si è fatto, spiega: «Nei dieci anni precedenti il potere d’acquisto salariale diminuiva del due per cento e in Europa cresceva del due e mezzo. La buona notizia è che adesso la tendenza si è invertita. Nella legge di bilancio ci siamo concentrati sull’aumento dei contratti».
Certo, ridurre «lo squilibrio» non sarà facile, vista anche la tendenza planetaria. «A livello mondiale - dice ancora Mattarella - la quota del Pil destinata ai lavoratori è scesa in maniera significativa tra il 2014 e il 2024». Lo hanno segnalato sia l’Organizzazione internazionale del lavoro che la Bce. «Alla robusta crescita dell’economia che ha seguito il Covid non è corrisposta la difesa dei salari reali». Nel frattempo «risultati positivi sono stati raggiunti dagli azionisti e robusti premi hanno riguardato taluni tra i dirigenti».
Eppure, insiste, sono i lavoratori a reggere la baracca. «Sono le entrate fiscali dei dipendenti pubblici e privati a fornire allo Stato, attraverso le imposte, il maggior volume di risorse». Dunque, è il momento di fare qualcosa, possibilmente senza demagogia. «Ben sappiamo come i salari siano stati nel nostro Paese lo strumento principe per ridurre le disuguaglianze e per un equo godimento dei frutti offerti dall’innovazione». Si tratta perciò di una questione «che non può essere elusa perché riguarda il futuro dei nostri giovani, troppi dei quali sono spinti all’ emigrazione». Però attenzione. «Porre riparo - avverte - non deve consistere nell’inseguire politiche assistenziali quanto, piuttosto, una scelta di sviluppo e di lungimirante coesione sociale». Ciò vale «per le istituzioni, per gli imprenditori e per i sindacati». Programmi seri, non superbonus.
Ma a preoccupare il capo dello Stato sono pure alcune nuove forme di assunzione.