Giannino della Frattina
nostro inviato a Kabul
Le vignette blasfeme danno fuoco alle mai sopite polveri del fanatismo religioso. Ieri in tutto l'Afghanistan secondo giorno di manifestazioni sempre più numerose e sempre più violente con ancora morti e feriti. La mappa dei disordini si allarga. La rivolta degli integralisti islamici va da nord a sud, da est a ovest. E, questa volta, nel mirino finiscono anche i militari italiani impegnati nella missione di peacekeeping.
Fatto mai avvenuto prima. E ancor più preoccupante considerando che le divise con il Tricolore sono sempre state accolte con affetto e che, comunque, non è mai mancato loro il grande rispetto dalla popolazione. Ieri a Kabul il primo fattaccio. Ad essere coinvolto nella protesta il quartier generale dell'Isaf (International security assistance force), la missione inviata nell'Afghanistan della ricostruzione sotto l'egida dell'Onu. Un contingente a cui partecipano ben trentasette nazioni e che da agosto è sotto il comando italiano del generale Mauro Del Vecchio. Tra i partecipanti Danimarca e Norvegia, i Paesi messi nel mirino dai capipopolo perché considerati i maggiori responsabili dell'oltraggio a Maometto e Allah. I dimostranti hanno tentato di attaccare sia le ambasciate di Copenaghen e Oslo sia la sede della banca Mondiale. La polizia è però riuscita a bloccarli, ma solo dopo duri scontri.
L'assalto agli italiani poco dopo le undici, quando la delegazione del Comune di Milano, guidata dall'assessore Giovanni Bozzetti, è appena rientrata evitando per poco di incontrare una delle tante manifestazioni che fin dal primo mattino agitano la capitale. Milano ha appena donato a Kabul 38 autobus e 12 camion per i rifiuti. Ma forse è proprio questo che gli ultimi signori della guerra o trafficanti di droga non vogliono succeda a casa loro.
Almeno trecento i manifestanti che raggiungono la caserma. Il copione è quello già visto un po' dappertutto in questi giorni di islamica follia. Urla, pietre e colpi di pistola contro il muro di cinta e le garitte presidiate dai soldati italiani. Due delle quali finiscono con il vetro antiproiettile centrato da diversi colpi. «Sono solo sassi», assicura il colonnello Riccardo Cristoni, capo ufficio stampa della missione. E così certificano nel loro referto anche i carabinieri che fanno immediatamente un'ispezione. Probabilmente un modo per tenere bassa la pressione, dato che un colpo d'occhio alle vetrate e anche qualche testimone farebbero propendere per i colpi di pistola. Sicuramente molte pietre arrivano ben dentro il perimetro fortificato. Un vetro del Destille garden, lo spazio verde utilizzato per consumare bevande e cibi dello spaccio, va in frantumi mentre i soldati stanno camminando lì vicino. «Certo - spiega il generale Del Vecchio - ci sono state diverse manifestazioni. E qui davanti a noi anche colpi di pistola. Ma sono stati esplosi dalla polizia afghana per disperdere i dimostranti ed evitare che la situazione degenerasse. Certo, questi sono i momenti più delicati da quando sono in Afghanistan. È molto plausibile che la protesta venga cavalcata da organizzazioni senza scrupoli. Dai talebani o dai terroristi che vogliono a tutti i costi impedire il processo di democratizzazione».
Sicuramente non facile la posizione del comandante. Che deve da un lato garantire la sicurezza dei militari impegnati in una zona ad alto rischio, dall'altro preservare le insegne della missione Isaf. Finora comunque riconosciute dalla quasi totalità degli afghani come portatrici di pace. Impensabile, dunque, rovinare un lavoro costato tempo e sacrifici con una reazione magari legittima, ma che la popolazione locale potrebbe anche considerare come ostile.
Ieri a Kabul è stata una giornata di caos assoluto. Ancor più del solito. Le strade per tutta la giornata sono completamente bloccate dalle manifestazioni partite da diversi punti della città e poi riunitesi. «Alert state» al livello B+ già dal primo mattino. Quando voci parlano già di una Corolla imbottita di esplosivo su quella che i soldati hanno soprannominato Violet street. La strada che porta a Jalalabad, quella delle autobomba. Un allarme che si rivelerà infondato col passare delle ore quando l'attenzione si sposta alle tante manifestazioni dove la gente si moltiplica col passare del tempo. Inevitabile il tentativo di raggiungere il comando americano. E le ambasciate danese e norvegese che, però, all'arrivo dei manifestanti sono già state sgomberate per prudenza.
Cala la sera e tutto si placa. Ma il peggio non è ancora passato.
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