
Tra gli scrittori ospiti della Milanesiana stasera al teatro Parenti di Milano c'è anche lo scrittore pratese Edoardo Nesi, autore tra l'altro de L'età dell'oro, Storia della mia gente e I lupi dentro. Romanzi nei quali descrive la provincia Toscana, i tempi dello sviluppo industriale e poi quelli della decadenza e del mutamento sociale, per via dell'immigrazione, in particolare cinese. Lèggerà un racconto senza titolo, il ritratto di una donna dell'Est, Martina, che si prende cura degli anziani e in particolare di un uomo ormai non più autosufficiente.
Nesi, il suo è un racconto autobiografico?
«In parte sì. Mia madre aveva un problema di demenza. I badanti non si occupano solo di una persona, ma di un'intera famiglia, che sta vivendo un'esperienza devastante...».
Qualcuno dice che i figli devono fare i figli, non i badanti..
«Sono d'accordo. I rapporti con i genitori cambiano, loro diventano persone diverse, a cui non sei abituato. Vieni depredato del rapporto di una vita. Mia madre aveva l'Alzheimer e io non riuscivo a capacitarmi di certe cose che diceva anche riferite a me, alternate però a sprazzi di lucidità. Cercare di capirla era una trappola che io tendevo a me stesso».
Nel racconto, a proposito di Martina, usa la parola intelligenza. Questa donna non si sente intelligente. Perché?
«Perché a un certo punto si è convinta che l'Inps voglia negarle la pensione, sulla quale lei ha fatto affidamento per potersene tornare a vivere al paese d'origine».
Esiste la cosiddetta intelligenza emotiva. Che ruolo ha nel rapporto tra badante e assistito?
«La badante, a differenza dei famigliari, non crede necessariamente a quello che dice il malato. Ma è in grado di interpretarlo aldilà della comprensione delle parole».
Che cos'è per lei, Nesi, l'intelligenza? Che definizione ne dà?
«Qualcosa di pericoloso.
Le persone più intelligenti spesso soffrono di più. Ma l'intelligenza non è sempre sposata con il buon senso, e a volte non arriva a capire le cose emotivamente più semplici. Come tale, può portare una persona anche all'autodistruzione».