da Londra
Davanti alle telecamere sono costretti ad abbozzare, simulando stima e ammirazione. Ma è solo a taccuini chiusi, quando le opinioni in libertà non rischiano di tradursi in titoli a nove colonne, che possono ammettere le verità più scomode. Come certe antipatie tra colleghi, talvolta vere e proprie avversioni, che da sempre attraversano la storia del calcio.
Rivalità sportive che sconfinano nell'insofferenza caratteriale. Gelosie, incomprensioni, dispetti, differenti visioni professionali tradotte in inconciliabili incompatibilità. È sempre successo quando si affrontano, seppur attraverso undici soldati-calciatori, generali-allenatori dall'ego colmo di vittorie. Helenio Herrera e Nereo Rocco sono stati tra i primi a trasferire sui giornali la loro personale idiosincrasia. Diversi in tutto, nelle filosofie di gioco come nelle personalità, lo scontro era inevitabile. Uno era di troppo. E a turno i due non mancavano di rimarcarlo. Punzecchiature, battute tra ironia e ostilità.
Anche Giovanni Trapattoni, discepolo dichiarato di Rocco, non ha mai nascosto di non amare (eufemismo) Arrigo Sacchi. Una questione tattica - marcatura a uomo contro zona totale - che non poteva non pregiudicare i rapporti interpersonali. Come d'altronde è capitato qualche anno più tardi tra lo stesso Sacchi e Fabio Capello, subentrato al tecnico di Fusignano per vincere tutto pur senza inseguire il calcio-spettacolo. In tempi più recenti è arcinota l'antipatia, questa sì di carattere strettamente personale, tra lo stesso Capello e Roberto Mancini. Così come quella tra Mancio e Carlo Ancelotti ai tempi dei derby della Madonnina. Due carriere parallele - campioni in campo e presto onorati anche in panchina -, eppure separati da un baratro di diffidenza e irritazione.
Certe volte è una questione toponomastica. Corregionali - entrambi toscani doc - Marcello Lippi e Aldo Agroppi non si sopportano con piglio vernacoliere. In Inghilterra li chiamano mind games (letteralmente giochi di mente). Sir Alex Ferguson ne è l'indiscusso maestro, capace di mettere pressione sulla vittima di turno (il tecnico della prossima squadra avversaria) con diabolica precisione. Ne individua i punti deboli e via mezzo stampa lo attacca. Un'ostilità scientemente coltivata ed esercitata. Settimana dopo settimana. Fino a qualche anno fa era Arsene Wenger, tecnico dell'Arsenal, a subire le saettate dello scozzese. Poi è stata la volta di José Mourinho, con il quale peraltro Sir Alex non ha mai ecceduto.
I due ossequiano i rispettivi palmares e tanto basta per non trascendere. Per la verità nei suoi anni di Premiership il portoghese si è sforzato pochissimo per avere buoni rapporti con i colleghi. Rafa Benitez ha smesso di salutarlo e Wenger ha minacciato di denunciarlo quando si sentì definire un «guardone». Sbarcato in Italia, l'ex Special One non ha perso il piglio beffardo. Per Claudio Ranieri, che da Mourinho si è visto sfilare la panchina del Chelsea, non è una novità. Anzi. E ora che il portoghese da scomodo successore è diventato agli occhi di Ranieri un rivale accreditato nella corsa al titolo, ecco le scintille. Così ieri da Manchester puntuale è arrivata la risposta del tecnico romano, definito da Mourinho «troppo vecchio per cambiare» una mentalità perdente. «Mourinho ci ha fatto vedere la sua vera personalità, il suo vero stile e cosa pensa dei suoi colleghi. Per lui sarà molto difficile prendere in mano una squadra che vince da due anni consecutivi».
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