Vancouver 2010

Razzoli, slalom d'oro salva i Giochi

L'azzurro sfrutta l'ultima chance di medaglia italiana e vince lo slalom speciale dominando la prima manche: "Ero convinto di essere il più forte, ma l'ho fatta grossa. Per Alberto era più facile"

Razzoli, slalom d'oro salva i Giochi

Whistler Mountain - E adesso? Adesso come la mettiamo con gli sciatori che sono limitati, che sono pappe molli, senza testa, senza attributi? Come la mettiamo dopo che uno di loro, detto mozzarella nonostante abbia per sponsor il parmigiano reggiano, ha vinto la medaglia d'oro nello slalom olimpico, ultima chiamata per una spedizione allo sbando? Giuliano Razzoli, da Razzolo, frazione di Villa Minozzo provincia di Reggio Emilia, ha compiuto il capolavoro che tutti si aspettavano da lui, ha mostrato quello che da tempo nell'ambiente sapevano, ma non sempre dicevano, tutti: è il più forte, il più veloce, in certe condizioni (e quella di ieri era una di queste) se non sbaglia, sarà difficile batterlo, se non impossibile. Ieri non ha sbagliato niente, ha dominato la prima manche partendo per tredicesimo, ha dominato anche la seconda partendo per trentesimo, ha vinto con 16/100 di vantaggio perché nelle ultime porte, ma solo in quelle, ha forse tremato un po'. Macché tremato, era tranquillo, tranquillissimo, semmai erano gli altri a tremare vedendolo scendere, erano gli austriaci, rimasti senza medaglie nello sci alpino maschile per la prima volta nella storia olimpica, un lutto nazionale per un paese che vive di sci. E chi gliel'ha tolta la medaglia al grande Benni Raich, quarto? Lui, il «cinghialone» dell'Appennino, il bestione che ha iniziato a sciare su una pista che a vederla fa ridere, in quel di Febbio, neve marcia e nebbia e pioggia spesso protagonisti. Sarà per quello che Giuliano si è trovato a meraviglia qui a Whistler, in una giornata in cui l'igrometro segnava umidità al 100%, sembrava di stare in piscina e la pista non era proprio il massimo, «ma va là che andava bene» dice lui.

Sarebbe facile adesso dire che Giuliano era un predestinato, non è così, ha fatto fatica ad emergere, è entrato in nazionale solo nell'ultimo anno di categoria juniores, all'ultima spiaggia dunque, come si dice, nelle categorie giovanili non ha mai lasciato il segno, anzi, per due anni praticamente non ha nemmeno potuto gareggiare per problemi di salute, aveva male alle ginocchia, e poi si è infortunato alla schiena, e solo nel 2001 si è rimesso in pista e nel 2003 è entrato in squadra. Suo padre, maestro di sci per hobby, e il maestro vero Marcellino Marchi (niente a che vedere con Alberto Paletta Marchi, che era stato lo scopritore di Tomba), hanno sempre creduto in lui, lo hanno tenuto tranquillo e gli hanno permesso di allenarsi con calma, «di crescere un passo alla volta» come dice lui, che proprio per il fatto di venire dagli Appennini si è temprato: «Perché per noi fin da bambini è dura, dobbiamo faticare più di quelli che abitano vicino alle Alpi, i viaggi sono lunghi, quindi quando poi serve tirare fuori gli artigli noi siamo già pronti».

Il 7 febbraio, prima di partire per l'avventura olimpica, Giuliano aveva consegnato a un giornalista emiliano un bigliettino con il suo pronostico, assegnandosi la medaglia d'oro: «È vero, ero carico, ci credevo, poi una volta qui mi sono reso conto della pressione, ma non ci ho fatto caso, io dovevo solo fare il mio mestiere che è quello di sciare. Non è stato facile partire essendo primo a metà gara, sapevo anche che altri erano andati forte, ma sapevo anche che nella prima ero stato molto più veloce di loro e per quello un motivo doveva esserci. Ero convinto di essere il più forte».

Giuliano non ha vinto molto, finora, in coppa del mondo solo una volta, a Zagabria, inizio gennaio: «Mi ha aiutato molto essere stato già primo due volte in carriera, la prima, nella scorsa stagione, avevo forse tenuto troppo ed ero finito secondo, a Kranjska nell'ultimo slalom prima di venire qua avevo invece rischiato troppo ed ero finito fuori, stavolta ho trovato la giusta via di mezzo ed è bastato per vincere, sapevo di valere questa vittoria e nel finale ho anche controllato, è bastato e sono felice».

Il bello è che non lo dimostra nemmeno troppo, non almeno come tutto il resto del clan azzurro, il suo skimen Patrick Merlo detto Luzzo ha vissuto la sua seconda manche in apnea e va in giro avvolto nel tricolore urlando «campione olimpico!!!», Max Carca, allenatore che ha sempre creduto in lui e lo considera un figlio, non sta più bella pelle, Claudio Ravetto, che era già stato messo in dubbio nel suo ruolo di dt, si sente «vuoto come un calzino sporco» e giura che starà «una settimana sul divano». Ad accoglierlo quasi in lacrime al traguardo c’è Alberto Tomba. Il mito, colui che qui in Canada vinse l’oro esattamente 22 anni fa. Ma davanti a lui Razzo riesce solo a dire: «L’ho fatta grossa.

Certo che per te era più facile: tu di gare ne avevi già vinte tante».

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