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Per il re delle chiavi inglesi utili record in tempi di Covid

L'azienda è nata nel 1923, negli ultimi due anni ha continuato la crescita: un centinaio le assunzioni

Per il re delle chiavi inglesi utili record in tempi di Covid

È l'ultima azienda italiana a produrre le tradizionali chiavi inglesi: ne fa più o meno un milione l'anno, per un totale di 300 tonnellate d'acciaio. Ma i prodotti della Beta Utensili sono più di 20mila divisi in 30 famiglie diverse. Tutto per gli specialisti della meccanica, delle riparazioni e della manutenzione industriale: dalle chiavi a brugola agli avvitatori; c'è anche una società del gruppo che progetta da zero le officine più avveniristiche, come quelle delle grandi case del moto-mondiale.

«La difficoltà è gestire, produzione, qualità e logistica di tutto questo tourbillon», spiega Roberto Ciceri, presidente e amministratore delegato.

A quanto pare l'obiettivo è stato raggiunto e sui risultati di Beta Utensili il Covid e i vari lockdown sono passati come acqua fresca: il 2020, anno incubo per eccellenza, ha visto l'utile netto crescere del 5,8%. Nel 2021 la crescita è stata addirittura del 25% (fino a 14,6 milioni, un record) con un giro d'affari intorno ai 210 milioni. Nell'ultimo paio d'anni le assunzioni sono state un centinaio e i dipendenti hanno superato quota 900; a Seregno, non lontano dalla sede di Sovico, sta per nascere un nuovo stabilimento (in giro per l'Italia ce ne sono già 8). L'export è al 42% del giro d'affari.

Per il 2022, manco a dirlo, le previsioni sono più che ottimistiche: «Anche nei momenti peggiori della pandemia abbiamo fatto una scelta: puntare sul futuro», dice Ciceri. «Abbiamo prenotato per tempo le materie prime, le forniture, i trasporti: adesso abbiamo un vantaggio rispetto ai nostri concorrenti», spiega Ciceri, 57 anni, ingegnere.

La sua è la quarta generazione alla guida dell'azienda, nata nel 1923 (il marchio, invece è del 1939). Cinque anni fa ha rilevato le quote degli altri rami familiari e adesso si ritrova in mano il 51% del capitale. Il resto fa capo alla Tamburi Investment Partners, fondo del finanziere Giovanni Tamburi, specializzato nella valorizzazione di piccole e medie aziende promettenti. La nuova compagine azionaria ha schiacciato il pedale dell'acceleratore: dal 2018 ha comprato altre cinque aziende. Per il futuro tra le possibilità c'è anche quella di uno sbarco in Borsa. «Fino ad ora abbiamo fatto acquisizioni che erano alla nostra portata. Se dovessimo decidere di mangiare un boccone più grosso potrebbe essere una strada da seguire», dice ancora Ciceri. Che racconta soddisfatto di un incontro recente: «Era il rappresentante di un colosso dell'economia cinese, ha detto di essere molto interessato ad entrare nel nostro settore».

Una specie di avance lasciata cadere dall'interessato, che punta su fattori chiave come ricerca e logistica. «Sul primo fronte spendiamo ogni anno il 7% del fatturato. Per quanto riguarda il secondo aspetto riusciamo a consegnare il 96% degli ordini in 24/48 ore».

Tutto in attesa, naturalmente, che la quinta generazione si dia da fare per prendere in mano l'azienda: Ciceri ha un figlio di 26 anni (già impegnato in un progetto all'interno del gruppo) e una ragazza di 23, ancora sui banchi universitari.

«Ma i nostri vecchi ci hanno insegnato da sempre che una cosa è l'azienda e un'altra la famiglia», conclude l'interessato.

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