Rea: «Delusi dalla politica ma risorgeremo»

Napoli è qualcosa che non puoi mettere da parte. È una persecuzione, anche quando vai via resta lì, tra il fegato e lo stomaco, e ti rovina il sonno. Napoli è la cicatrice viva di Ermanno Rea, la sua città, il suo tormento, la sua ispirazione. È il mestiere di una vita. Napoli c’è sempre, in tutti i suoi libri. È il degrado di Mistero napoletano, delle fabbriche nei sottoscala, del lavoro nero. È la Napoli industriale che perde i pezzi nella Dismissione. È soprattutto Napoli ferrovia, l’abnorme insieme di strade, vicoli e slarghi che disegna il poligono più disperato della città. Napoli e la sua speranza, Napoli che senza Italia non può vivere, perché «in tutti questi anni non ha saputo investire». Rea è in viaggio. Sta attraversando mezza Italia in auto per arrivare nelle Marche. È da qui che guarda e racconta quel che resta di Napoli. «Questa città va curata. Bisogna ripensare al Paese in modo unitario. E per un’Italia sana c’è bisogno di una Napoli guarita. Risanata».
Quale futuro allora vede per Napoli?
«Il futuro che il Paese vorrà e deciderà. Non riesco a separare il destino della mia città con quello del Paese, e non lo dico da napoletano, ma da italiano. Se muore Napoli, muore anche l’Italia».
Crede in un rinascimento napoletano?
«Io odio la parola rinascita. Napoli ha avuto una grande chance con la caduta del Muro di Berlino, ma ha perso. Ha fallito allora. Ora ha può recuperare».
Scrittori e intellettuali napoletani parlano di irrimediabilità. Lei cosa ne pensa?
«Niente è irrimediabile. Bisogna ripartire».
Napoli ha bisogno di ottimismo?
«Sì, ma nel senso più alto del termine. C’è bisogno di una prospettiva fondata sulla volontà. La classe politica ha sempre tentato di rassicurare».
Il male storico di Napoli?
«Napoli è una città accidentata. Con il passare del tempo chi subisce diventa complice. La mafia e l’illegalità diffusa hanno reso questa città l’anello debole dell’Italia. Oggi l’errore sarebbe provincializzare l’emergenza».
Che rapporto si è creato tra i napoletani e la spazzatura?
«La gente si è ribellata come poteva. Ma le proteste, come tutte quelle popolari, hanno una direzione spontanea, episodica e occasionale».
E le proteste per le discariche?
«Sono state fatte per salvaguardare privilegi. E non solo. La riapertura di discariche, è stata vissuta dalla gente come una punizione perché da troppo tempo ha subito l’improvvisazione».
Ha influito la mala amministrazione?
«La politica ha disatteso le speranze. I napoletani vivono il destino della disillusione».
Come vede Napoli Caracas, il personaggio del suo libro Napoli Ferrovia?
«Caracas vede la città in modo negativo, ne coglie il disordine, vorrebbe certezze che Napoli non ha».
Caracas come Ermanno Rea quindi?
«Le emergenze si ripeteranno. Quella dei rifiuti non sarà l’ultima.

È mancata la politica, i progetti, un’economia. La chiusura delle industrie siderurgiche ha dato il colpo di grazia. Per tutte le industrie che chiudono ce ne sono altrettante che riaprono nei sottoscala. Napoli cerca disperatamente il lavoro. E se lo crea».

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