La realpolitik di Silvio conquista nuovi alleati da Brown a Mubarak

Roma«Io sono amico di tutti, ma soprattutto degli interessi del mio Paese». Durante la Prima Repubblica la politica estera italiana si concedeva qualche passeggiata sul treno franco-tedesco e, di tanto in tanto, una puntata sul fronte arabo. Così ha navigato per decenni Giulio Andreotti e più o meno lo stesso schema lo ha adottato in tempi recenti il centrosinistra. Seppur condito con un po’ di sana ideologia e qualche suggestione (vedi l’Ulivo mondiale). L’approccio adottato da Silvio Berlusconi è stato sempre esattamente l’opposto, riassunto in quelle poche parole che di tanto in tanto il premier ripete ai suoi consiglieri più fidati e agli uomini della diplomazia italiana: «Io sono amico di tutti».
Un concetto semplice e immediato, utilizzato spesso per rintuzzare le obiezioni di qualche feluca di rango ancora legata ai rituali della vecchia diplomazia. All’inizio il Cavaliere un po’ di fatica l’ha fatta, inciampando in qualche incidente di percorso. Ma dal 1994 a oggi di acqua sotto i ponti ne è passata. E se è vero che Berlusconi ne ha guadagnato in esperienza va pure detto che la diplomazia s’è andata in qualche modo adeguando all’approccio pragmatico del Cavaliere. È la politica delle «pacche sulle spalle», per dirla con un’espressione amata dai detrattori. Che però solo qualche mese fa si sono trovati davanti a un paradosso per loro inspiegabile, con Bush che riceveva «l’amico Silvio» alla Casa Bianca proprio nei giorni in cui lui insisteva nella difesa di Putin sulla crisi georgiana. Conciliare gli estremi, insomma, non è impossibile.
Negli anni, dunque, il Cavaliere ha vinto anche questa battaglia, superando le perplessità di molti e incassando più d’un successo. Al punto che se in passato qualche gaffe c’era stata, ora le devono creare ad arte. Quella con Sarkozy, lanciata da Canal+ che ha poi di fatto ammesso di aver preso un abbaglio. E pure quella sui desaparecidos argentini, visto che il Cavaliere non aveva affatto ironizzato sulla vicenda definita non a caso «drammatica». Berlusconi se ne cura poco. D’altra parte non ci sono solo Bush e Putin al suo attivo. C’è Sarkozy, un rapporto sempre più stretto con il libico Gheddafi e pure una decisa intesa con l’egiziano Mubarak, tanto da essere invitato alla Conferenza su Gaza di qualche giorno fa («la tua esperienza, Silvio, sarà fondamentale»). Conta, certo, essere il senior member della politica internazionale o, come si schernisce spesso lui, il «vecchietto della comitiva». Conta per la memoria storica e per l’esperienza, perché Berlusconi ha presieduto il suo primo G8 nel 1994 quando in campo c’era ancora Mitterand e Blair non era ancora entrato a Downing Street. Ma quel che fa davvero la differenza è l’approccio che non è cambiato rispetto agli anni in cui Berlusconi faceva semplicemente l’imprenditore. «La politica è fatta di relazioni personali», ama ripetere. Nell’opposizione ci scherzano su, ma poi lui ne inanella una dietro l’altra. Ultimo atto, appunto, con Sarkozy che a Villa Madama lo elogia pubblicamente e i cronisti che quasi si imbarazzano quando il francese si complimenta per la vittoria elettorale in Sardegna. «Un giorno mi spiegherai come si fa a vincere così tante elezioni», gli dirà durante il pranzo.
Così, dopo tanto ironizzare su Bush che più e più volte l’ha chiamato «l’amico Silvio», oggi l’espressione è quasi abusata. L’ha ripetuta quasi a macchinetta il turco Erdogan nella conferenza stampa che ha seguito il bilaterale di Smirne e ne ha abusato l’albanese Berisha a dicembre. E pure Brown, che politicamente non è certo affine al centrodestra, ha insistito sul punto nell’incontro con la stampa dopo il faccia di Londra a settembre. Insomma, se Berlusconi è riuscito a conquistare anche la fiducia del brasiliano Lula, uno che viene dall’estrema sinistra, evidentemente la politica delle pacche sulle spalle paga. Così, se ha strappato sorrisi l’idea del Cavaliere di accogliere Putin in Sardegna regalandogli uno show da Bagaglino, è finita che è stato proprio a lui che hanno chiesto di mediare con Mosca durante la crisi georgiana. Ed è ancora lui - seppure sottotraccia - che oggi cerca di fare da tramite tra Medvedev e la nuova amministrazione americana. Non è un caso che l’argomento sia stato il cuore del bilaterale di tre giorni fa con la Clinton («Silvio, ancora ricordo l’accoglienza che hai riservato a me e a Bill durante il G7 di Napoli del ’94»). D’altra parte, è andata così pure con Lula - che Berlusconi vuole a tutti i costi coinvolgere nelle decisioni sulla crisi finanziaria - visto che quando venne a Roma qualche mese fa non perse l’occasione per fargli incontrare i brasiliani del Milan.
«Io sono amico di tutti», appunto. Un’espressione che riassume la realpolitik berlusconiana che negli anni è andata conquistandosi alleati su alleati.

Al punto - spiegava a un suo collega durante la Conferenza su Gaza il suo consigliere per la politica estera, Valentino Valentini - che oggi l’Italia ha un ruolo decisamente più centrale di quanto vorrebbe il suo essere una media potenza.

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