La Regione aiuta libanesi e israeliani

Giannino della Frattina

Tutti d’accordo. Un accenno di polemica che, chiariti i termini della questione, nemmeno fa in tempo ad accendersi. L’antefatto. Lunedi il governatore Roberto Formigoni, insieme al sottosegretario alle Relazioni internazionali Roberto Ronza, annuncia che la Regione accoglierà nei propri ospedali quindici civili libanesi rimasti feriti nella guerra in corso. Soddisfatti il console generale del Libano a Milano Hassan Najem e il nostro ministero degli Esteri che, grazie alla Protezione Civile, collaborerà perché i pazienti raggiungano gli ospedali milanesi di Niguarda, Sacco e Buzzi e a Bergamo i «Riuniti». Tutte strutture con reparti di alta specializzazione in traumatologia, cura delle ustioni, chirurgia plastica, infettologia, chirurgia pediatrica. Più prudente l’assessore alla Salute di Palazzo Marino Carla De Albertis. «Un’iniziativa lodevole - aveva commentato immediatamente - purché la stessa offerta d’aiuto sia fatta anche a Israele e si abbia l’assoluta sicurezza che i malati non facciano parte di Hezbollah».
Ieri a stretto giro di posta la risposta della Regione. «Spiace - la replica - che l’assessore Carla De Albertis non abbia letto per intero la delibera regionale e la comunicazione fatta, relativa agli aiuti che Regione Lombardia si è apprestata a dare ad alcuni feriti libanesi e, in contemporanea, ad alcuni feriti israeliani. Infatti è proprio così. L’azione della Lombardia è duplice: si interviene con forme di aiuto in loco ai feriti civili israeliani, perché così hanno preferito le autorità di quel Paese. E si interviene ricoverando nei nostri ospedali alcuni civili libanesi.

Si tratta esclusivamente di bambini accompagnati dalle loro madri. Questo a sottolineare che già Regione Lombardia avesse ovviamente provveduto a verificare che non ci fossero possibilità di infiltrazioni indebite di nessun tipo».

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