Rehberger, la vita è come un film visto dalla fine all’inizio

Nella complessa installazione dell’artista tedesco, i concetti incrociati di tempo e trasformazione

Rehberger, la vita è come un film visto dalla fine all’inizio

Certo, per un artista che è solito lavorare sull’aspetto relazionale, affrontare il mondo del cinema e le sue metodologie, il suo essere un coro a più voci, una somma di specifiche professionalità, è quasi un logico approdo. Solo che in questa grande macchina da cinema messa in scena dal tedesco Tobias Rehberger, tedesco, uno degli artisti più interessanti di oggi, alla Fondazione Prada di Milano, via Fogazzaro 36 fino a giugno, a cura di Germano Celant, tutto è rovesciato. A cominciare dal titolo. «On Otto» infatti non solo contiene il palindromo otto, una parola a specchio, ma «si può leggere sia da destra sia da sinistra» come dice l’artista stesso: «L’intero titolo “On Otto” lascia pensare che si tratti di una persona, e suggerisce qualcosa di narrativo, ma se lo si legge al contrario, “Otto No”, è come se la narrazione subisse una battuta d’arresto».
Così Rehberger inizia a lavorare a un film, ma il riferimento al cinema viene da lontano, pensiamo a Shining, Shining, Shining (2002) ispirato al film di Kubrick o alle Women Murders Library, serie iniziata nel ’99, o al piccolo «one-man cinema» installato al Moderna Museet di Stoccolma nel '98, nucleo generatore di «On Otto».
Ora, per questo «film» installato in un’architettonica disposizione, Rehberger comincia dalla fine con l’idea di «realizzare un film alla rovescia partendo dalle fasi finali del processo per approdare solo alla fine alle basi di tutta la costruzione filmica» (Germano Celant). E se paradossale punto di partenza diventa un poster (qualcosa che in genere si elabora a film ultimato) con la morte di un’inconsueta Rita Hayworth, capelli biondi e corti, nel film di Orson Welles La signora di Shanghai, al termine del percorso troviamo quello che in genere è la base prima: la sceneggiatura.
Nel microcosmo creato da Rehberger con questa complessa installazione ritroviamo concetti chiave della sua riflessione, come le nozioni di tempo e transitorietà, traduzione e trasformazione, lo scambio e la collaborazione con altri artisti, l’indagine sulla rete di relazioni tra gli oggetti e la realtà.
L’operazione di Rehberger potrebbe essere definita dall’espressione francese À rebours, che significa «a ritroso», ma anche «controcorrente». La lavorazione del film si svolge infatti risalendo indietro nel tempo, ma anche il ruolo di Rehberger appare definirsi al contrario rispetto a quello consueto del regista. Se la piccola sedia in un angolo è un indizio che sembra identificare Rehberger come regista dell’operazione, si nota però che si tratta di una sedia simile a quelle dei vecchi cinema e indica l’artista anche come primo spettatore della sua opera.
Infatti in genere il regista costruisce, qui Rehberger decostruisce un’ipotesi di film.

Elementi e fasi del processo creativo e produttivo sono presentati separatamente, distinti, e non mescolati nella sintesi filmica. Gli spettatori assumono un ruolo da protagonisti, mentre star del cinema come Kim Basinger, Willem Dafoe e Danny De Vito appaiono come pubblico in una vuota sala cinematografica.

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