La Resistenza «bianca» del papà di Letizia finita nel lager di Dachau

Paolo Brichetto Arnaboldi era di fede liberale e anticomunista. Tenne i contatti con gli americani e fu uomo di punta della Brigata Franchi

Giannino della Frattina

Era giovane, ma di già provata fede liberale e anticomunista. Il destino di Paolo Brichetto Arnaboldi, che diventerà padre di Letizia Moratti, si decide probabilmente con la cartolina che lo chiama al corso allievi ufficiali. Destinazione Milano, assegnazione a un reparto meccanizzato. È la primavera del 1943 e la storia in quei giorni corre veloce. Al fronte c’è la guerra, nelle retrovie la poltica che tesse le sue trame fino a quando gli alleati diventano nemici e i nemici alleati.
Un terremoto che non sconvolge il giovane Brichetto. Lui ha da sempre solidi contatti con i liberali piemontesi e le idee chiarissime. Così non ha nulla da obiettare quando ufficiali antifascisti dell’esercito gli chiedono di portare da Milano a Lugano una colonna di camion. Ci vuole fegato, la Resistenza è ancora agli inizi e i rischi sono molti di più delle certezze. Ma lui, giovanissimo sergente maggiore, è «uno che ha fegato». Sarà la prima azione della sua guerra partigiana. Un’avventura scelta di slancio e perseguita con tenacia che gli farà guadagnare una medaglia d’argento e una di bronzo al valor militare. E la cerimonia ufficiale, molti anni dopo, davanti a Carlo Azeglio Ciampi, anche lui in quei giorni giovane ufficiale dell’esercito e anche lui combattente partigiano.
Il convoglio arriva a Lugano. Il battesimo del fuoco è superato a pieni voti. Da quel giorno Paolo Brichetto tiene i contatti tra la Svizzera e l’Italia. Parla perfettamente l’inglese e il tedesco e perciò collabora con i servizi segreti americani del generale Dullas e quelli inglesi del generale John McCaffery di stanza in Svizzera. Perfetto sciatore, grande camminatore, conosce bene valli, valloni e massicci delle Alpi. I suoi viaggi sono continui: Lugano, Torino, Milano. Porta informazioni, organizza la logistica della Resistenza bianca. Si fa notare e presto lo vuol conoscere Edgardo Sogno. Nato a Torino nel 1915 da famiglia nobile, Sogno partecipò alla guerra di Spagna come volontario sul fronte nazionalista e franchista. Poi, trasferitosi a Roma, frequenta gli ambienti dell’antifascismo clandestino, i circoli liberali vicini a Croce e conosce Giaime Pintor. Dopo l’8 settembre, utilizzando il suo nome di battaglia e in accordo con la Special Force britannica, dà vita all’Organizzazione Franchi. Brichetto entra presto a farne parte, gli inglesi sono i referenti immediati attraverso Radio Londra e forse per questo la Franchi non piace troppo ai «rossi». Ma gli alleati aiutano Sogno e i suoi con moltissimi invii di armi e materiali. Brichetto ha il compito delicatissimo di pianificare le missioni. Si sposta in val d’Ossola dove ci sono le Brigate Garibaldi del comunista Cino Moscatelli e qui organizza la logistica dei lanci di armi e attrezzature.
Un giorno è a Torino. In tasca i soliti documenti falsi.

Lo ferma la Gestapo e per lui si apre una cella alle Nuove. Preludio a quella ben più terribile di Dachau. Ma ci vuol altro per piegarlo e anche dentro al campo si organizza con i più intraprendenti. Fino all’arrivo del generale Patton. E alla liberazione.

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