La resistenza del vero contro le avanguardie

Sciltian, Annigoni, i fratelli Bueno e altri alla fine degli anni '40 lanciarono il loro programma

La pittura è una festa. Le avanguardie hanno cercato di guastarla. Ma un drappello di artisti ha tentato fino all'ultimo di difenderla prima che la modernità avanzasse implacabile distruggendo tradizioni, consuetudini, in nome del progresso e del benessere. Il gruppo dei «Pittori moderni della realtà» è stato l'ultima festa della pittura italiana. Come il ballo Beistegui a palazzo Labia. «Le Bal Oriental» si svolse a Venezia il 3 settembre 1951, nel palazzo da poco restaurato. Invitate da Charles de Beistegui, alla festa parteciparono circa 1000 persone, fra cui Christian Dior, l'Aga Khan III in domino nero, Orson Welles, Gene Tierney e Irene Dunn in merletto e tricorno, Elsa Maxwell in corno dogale, il corteo imperiale chinoise dei Lopez-Willshaw e Alexis de Redé, Daisy Fellowes in costume Dior da Regina d'Africa di matrice tiepolesca, Cora Caetani, Barbara Hutton e Isabelle Colonna, Fulco di Verdura, Natalie Paley, Duff e Diana Cooper, che si era affidata al costumista Oliver Messel. Elsa Schiaparelli, Nina Ricci e il giovane Pierre Cardin erano tra gli inventori delle mises, così come Jacques Fath, deguisé in oro Luigi XIV per raffigurare il sole, accompagnato dalla moglie in argento lunare. Indimenticabili Salvador Dalí e Leonor Fini, l'angelo nero del Surrealismo. Il padrone di casa indossava un abito scarlatto e una lunga parrucca con i ricci, viaggiando sollevato su un plateau di 40 centimetri. Le fotografie della serata furono affidate a Cecil Beaton, Robert Doisneau e Cornell Capa.

Nello stesso anno a Palazzo Reale di Milano aprì la mostra di Caravaggio curata da Roberto Longhi, da cui inizia la moderna fortuna del pittore. Tra 1945 e 1951 si affermò il cinema neorealista, a partire da Roma città aperta di Rossellini (1945). I film più importanti di questo movimento sono Paisà (Rossellini, 1946), Sciuscià (De Sica, 1946), Germania anno zero (Rossellini, 1947), La terra trema (Visconti, 1948), Ladri di biciclette (De Sica, 1948), Miracolo a Milano (De Sica, 1950), Umberto D. (De Sica, 1951). Leo Longanesi descriverà la fine di quell'Italia, illustrata nei film e nei dipinti, con parole indimenticabili: «la miseria è ancora l'unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge è soltanto frutto della povertà. Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane sono custodite soltanto dalla miseria. (...) Perché il povero è di antica tradizione e vive in una miseria che ha antiche radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato. (...) La sua ricchezza è stata facile, di solito nata dall'imbroglio, da facili traffici, sempre o quasi, imitando qualcosa che è nato fuori di qui. Perciò quando l'Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un paese di cui non conosceremo più né il volto né l'anima».

I «Pittori moderni della realtà», con un lucido (e romantico, non nostalgico) manifesto programmatico affrontarono la questione su un fronte di estrema «resistenza». Furono Gregorio Sciltian, Pietro Annigoni, Xavier e Antonio Bueno a firmarlo; e altri tre, Giovanni Acci, Alfredo Serri e Carlo Guarienti, ad aderire con convinzione, partecipando alle cinque mostre in cui si consumò la loro esperienza, tra 1947 e 1949: «Noi, Pittori moderni della realtà, siamo riuniti in un gruppo fraterno per mostrare al pubblico le nostre opere... In contrapposto all'École de Paris, nata in Francia ma rappresentante una tendenza universale di decadenza, la nostra arte nata in Italia rappresenta un avvenimento di speranza e di salvezza per l'arte e questa mostra vuole essere un primo effettivo contributo alla lotta che si accende. Non ci interessa né ci commuove una pittura cosiddetta astratta e pura che, figlia di una società in sfacelo, si è vuotata di qualsiasi contenuto umano ripiegandosi su se stessa, nella vana speranza di trovare in sé la sua sostanza. Noi rinneghiamo tutta la pittura contemporanea dal postimpressionismo a oggi, considerandola l'espressione dell'epoca del falso progresso e il riflesso della pericolosa minaccia che incombe sull'umanità... Noi ricreiamo l'arte dell'illusione della realtà, eterno e antichissimo seme delle arti figurative...».

Il più anziano, e la guida, determinato, con una coerenza che durò tutta la vita e tutta l'opera, affermandosi in un realismo eterno o senza tempo, fu Gregorio Sciltian. In diverso modo rappresentativo fu il dotatissimo, virtuoso e versatile, quanto indomito, fino a diventare il simbolo vilipeso e oltraggiato dell'antimodernismo, fu Pietro Annigoni. Lo scontro è duro, e fallimentare. Si affermano le ricerche astratte e informali. Nel 1947 esce, anche più agguerrito, il Gruppo Forma 1, con Piero Dorazio, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Mino Guerrini, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato e Carla Accardi. Iniziano Lucio Fontana e Alberto Burri. Segue Leoncillo. Poi Enrico Castellani. E Piero Manzoni.

Da quel momento sarà vano ogni tentativo di opposizione da parte dei pittori realisti. Emblema dello scontro sono opere come il San Sebastiano di Asco, del 1949, o l'intatta produzione di Ugo Celada di Virgilio, o l'intera esistenza artistica di Romano Parmeggiani, fratello di Tancredi. Non si contano i passaggi sull'altro fronte, con notevoli risultati: Capogrossi, Afro, Leoncillo, Fausto Pirandello. Resistono de Chirico, Sciltian e Annigoni, disprezzati fino all'irrisione, spariscono Acci e Serri, cambiano pelle, in diverso modo, i due Bueno: Antonio diventando astratto tra il '50 e il '53, ad intermittenza neometafisico, con la serie di dipinti con pipe di gesso (1953-57), informale, pop, nel seguito, intercettando gli stimoli dell'avanguardia; e Xavier, ideologicamente sensibile al mondo della povertà e dell'infanzia, espresse in immagini sofferenti e malinconiche di un'umanità avvilita ed oppressa. Eppure i due fratelli erano stati assoluti e insuperabili, anche in coppia, in un capolavoro epocale come Passeggiata alle cascine del 1942 e nel Doppio autoritratto del 1944, dove le loro diversità si annullano e i risultati si potenziano, giungendo a una singolare rigenerazione del realismo magico. Opere di incantata poesia che non temono il confronto con i capolavori, ampiamente sdoganati, di Antonio Donghi, che non perdonò a Longhi di avergli preferito Sciltian e, proprio nel 1949, si riscattò partecipando alla mostra «Twentieth-Century Italian» al Museum of Modern Art di New York.

La dannazione del realismo è prevalente ma discontinua, e tale resta anche nelle rivalutazioni, dalle quali sembrano esclusi, come per un peccato originale, proprio i pittori moderni della realtà. Per ciò che riguarda Acci, il suo radicalismo espressionistico lo porta a risultati sorprendentemente affini a quelli dei più severi maestri della «Nuova oggettività» tedesca. Ma va segnalato che il suo potente Ritratto del padre del 1947 indica imprevedibili tangenze con un altro, isolato e isolano, pittore della realtà, vibrante di attualità, nella sua pittura di esistenza: il sardo Brancaleone da Romana. I suoi ritratti sono idealmente corrispondenti alle prove migliori dei pittori moderni della realtà, come il Cianciarda di Annigoni.

Un caso a parte, per varietà e durata, è quello di Carlo Guarienti, insofferente oggi, non solo per il ricordo di quella lontana avventura. Ma egli interpretò, più di ogni altro, con gusto per l'invenzione e beffarda ironia, le tradizioni veneziane e mantegnesche (ha vissuto a Verona sotto il cielo di Tiepolo, nel palazzo di famiglia).

La sua cultura coltivata, la sua vena fantastica, la sua «corda pazza» lo hanno tenuto vivo e attuale fino ai suoi cento anni, che celebreremo a Ferrara nel Castello Estense, emblema della pittura metafisica, nelle sue Muse inquietanti.

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