Non vuole chiamarla «verifica», ma un Prodi decisissimo a resistere sta lavorando a quella che definisce «agenda 2008». Che gli serve per blindarsi a sinistra: con Rifondazione, il premier sta già trattando su punti precisi, in vista di un vertice ancora non fissato (tra il 10 e il 15 gennaio, anche in funzione di quando la Consulta deciderà sui referendum) e che dovrà discutere anche di legge elettorale. Qui lo stop a Veltroni è chiaro: bene il dialogo, ma per ora «non si vede» la larga maggioranza che dovrebbe approvare la riforma. E certo il premier non permetterà che «i piccoli partiti vengano messi fuori gioco».
«So quel che mi chiedete e penso di potervelo dare», ha spiegato Prodi ai dirigenti del Prc: salari, detassazione, prelievo fiscale sulle rendite verranno messi sul tavolo, Rifondazione potrà cantare vittoria e Prodi avrà unarma in più per resistere contro chi vuol far cadere il suo governo proprio ora che, «risanati i conti», lui è pronto a staccare dividendi. La minaccia di Dini resta nellaria: «Lo aspettiamo in Parlamento», dice il senatore. Ma il premier non mostra di temerla granché, e sottolinea che finché un numero bastante di senatori non gli vota a viso aperto la sfiducia, lui resta al timone. Dopo di me, ci sono solo le elezioni, ripete. Lanciando un avvertimento trasversale: alla Camera «la mia maggioranza è cospicua, e qualsiasi altro governo dovrebbe passare anche lì». Messaggio doppio: i fedeli di Prodi (cespugli compresi) non voteranno suoi sostituti.
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