Cronache

Un ricco gettone per l’uomo che salvò l’Unione a Sanremo

Un ricco gettone per l’uomo  che salvò l’Unione a Sanremo

(...) assai ben meritato; il secondo esempio tocca il parlamento, e si riferisce alle dimissioni di un membro del Senato «compensate» con una buonuscita di peso. Con il retroscena che non t’aspetti: una sorta di vendetta di partito a carico di un esponente non allineato. Tutti i particolari, partendo da Sanremo. La giunta di centrosinistra guidata da Claudio Borea vacilla sotto il peso delle polemiche interne alla maggioranza. Il primo cittadino è sul punto di gettare la spugna, anzi la getta, anzi la riprende subito al volo, anzi dice che lui è saldo sulla poltrona ed è pronto a girare di nuovo a 10mila giri, ma senza prendere in giro i sanremesi. I numeri gli danno torto, la sua sorte è in picchiata. Ma alla vigilia del de profundis, il Borea dalle mille risorse tira fuori il coniglio dal cilindro: uno che sembrava fra i più critici della gestione del municipio si commuove e si dice disposto a tenere in piedi la baracca del sindaco. È Bruno Marra, presidente del consiglio comunale, in realtà - secondo il commissario cittadino di Forza Italia, Maurizio Zoccarato - il «vero capo, la vera guida della politica di Uniti per Sanremo, anzi colui che in futuro deciderà chi farà l'assessore, chi farà il direttore generale al Casinò e chi andrà nei consigli di amministrazione». Idee chiare, su questo punto in particolare. Tanto che lo stesso Marra accetta il sacrificio - come dire? - di rendersi disponibile a fare l’amministratore della Filse, finanziaria regionale che rappresenta il braccio economico-finanziario della Liguria (o meglio, la lunga mano di De Ferrari in una serie di società partecipate).
«E meno male che Marra - sbotta il capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale, Luigi Morgillo - aveva precisato, pubblicamente, di non aver chiesto niente per sé per far mancare il proprio voto alla mozione di sfiducia contro Borea. Ora invece si rassegna a entrare nel consiglio di amministrazione della Filse... Tanto per rimanere nella tradizione di questa sinistra ligure - insiste Morgillo -, ecco che i fatti smentiscono le parole. Il premio, pardon: la nomina di Marra in Filse è stata sponsorizzata dai consiglieri Luigi Patrone (Gente di Liguria) e Claudio Gustavino (Margherita) e dall’assessore G.B. Pittaluga. Ormai la Regione è diventata un mercato». I giochi, però, non sono così semplici: Rifondazione comunista, come i consiglieri azzurri di Forza Italia Morgillo e Matteo Rosso, non ha partecipato alla votazione in commissione nomine, aprendo un altro fronte del dissenso nella maggioranza. Ancora più intrigato, forse, il caso-buonuscita da Palazzo Madama: la storia è quella del senatore Luigi Malabarba, Rifondazione, che lascia il posto a Haidi Giuliani (rinunciando a un appannaggio mensile di oltre 10mila euro mensili, più benefit). Viene fuori sulle pagine dell’Espresso (e ha un rimbalzo immediato in aula, ieri mattina, con un’intervento del senatore Antonio Paravia, An) che «le dimissioni di Malabarba sono state presentate attraverso un compromesso pattuito di 3500 euro mensili netti, per 15 mensilità, per l’intero periodo residuo della legislatura, e a seguito di un accordo economico con il suo capogruppo che, per liquidarlo, avrebbe utilizzato i contributi versati dal Senato al gruppo di Rifondazione comunista». Insiste Paravia, che resta in attesa di eventuali smentite: «Si parla di 110mila euro versati in contanti per sanare la vertenza». Immediata la reazione degli interessati: «Riteniamo oltraggioso per il Prc e per noi che si alluda al frutto di un presunto mercimonio - dichiarano congiuntamente Malabarba e Haidi Giuliani -. Siamo assolutamente limpidi». Persino loro accennano al fatto che le voci possono essere nate «probabilmente in modo inconsapevole in ambienti di partito o altrove». Non è un mistero che il senatore dimissionario sia fra gli amici più ascoltati di Franco Turigliatto, espulso dal partito di Bertinotti per aver contribuito alla caduta del primo governo Prodi.

E le «rivelazioni» dell’Espresso - concludono i soliti maliziosi - potrebbero rientrare nella guerra senza esclusione di colpi che sta squassando il Prc e le file della sinistra di lotta e di governo.

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