Vedersi, incontrarsi e discuterne ogni due settimane. Sembra la punizione di una maestrina puntigliosa a due studenti discoli e indisciplinati. Invece è la nuova ricetta per trasformare in passi concreti i convulsi sforzi di pace mediorientali. La penitenza, prescritta da Condoleezza Rice e accettata a denti stretti dal premier israeliano Ehud Olmert e dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, non è solo la bizza di un segretario di Stato esasperato da quattro inconcludenti viaggi mediorientali.
Qualcosa stavolta sullo scenario mediorientale si muove sul serio e la scudisciata di Condoleezza ai due principali quanto inerti attori punta a metterli in sintonia con le evoluzioni diplomatiche che li circondano. La più straordinaria è sicuramente quella in corso sullo scenario saudita. Oggi a Riad si apre la cruciale riunione della Lega Araba chiamata a discutere e forse a modificare i termini di quella proposta di pace saudita destinata a seppellire la paralizzata «road map». Concepita nel 2002 dal sovrano saudita Abdallah per raggiungere un accordo di pace tra tutti i Paese arabi e lo Stato ebraico in cambio della nascita di uno Stato palestinese sui confini del 1967, la proposta contiene elementi indigeribili per Israele. Il primo è la garanzia del cosiddetto «ritorno dei profughi» che permette a tutti i palestinesi usciti da Israele dopo il 1948 e ai loro discendenti il rientro sui territori dorigine. La condizione, seppur prevista da una risoluzione Onu, stravolgerebbe lattuale composizione dIsraele ed è inaccettabile per Ehud Olmert. Gli altri punti spinosi sono quelli sui confini del 67 e su Gerusalemme. Israele punta comunque a modificarli a proprio favore mantenendo alcuni blocchi di colonie in Cisgiordania e conservando la piena sovranità sui luoghi santi e sulle parti di Gerusalemme Est già annesse.
La riunione della Lega Araba punterà probabilmente a mantenere inalterato il testo della proposta autorizzando però una trattativa ufficiale con il governo israeliano. La storica decisione consentirebbe allArabia Saudita e agli altri Paesi che non riconoscono lo Stato ebraico di intavolare regolari negoziati mettendo fine allipocrisia degli incontri segreti di cui è costellata la storia mediorientale. Dopo questa prima fase preparatoria, il premier israeliano Ehud Olmert potrebbe dunque venir invitato a negoziare direttamente i cambiamenti al cosiddetto piano di pace saudita. Lipotesi è stata prospettata dallo stesso Olmert che si è già detto pronto, se invitato, ad andare in Arabia Saudita per proporre modifiche al piano.
Illudersi di esser alle porte daccordi epocali sarebbe però ingenuo. Il principale ostacolo è in questo momento la debolezza dei due principali protagonisti. Olmert è alle prese con le insidie della commissione Winograd pronta a rendere pubblica la relazione preliminare sulla sua condotta nel conflitto con Hezbollah. La relazione rischia di mettere fine alla sua carriera o comunque di non metterlo in condizione di portare a termine una trattativa.
Mahmoud Abbas è, invece, un presidente privo di autorità e senza alcun controllo sul governo dellAnp guidato dal premier di Hamas Ismail Haniyeh. La debolezza dei protagonisti contrasta con la concretezza del piano di pace saudita che a differenza della «road map» non prevede soluzioni provvisorie, ma punta a una soluzione definitiva. Non a caso lunedì sera la Rice ha discusso per ore con Olmert cercando di convincerlo a discutere, negli incontri a settimane alterne con Abbas, anche questioni fondamentali come il ritorno dei profughi, gli assetti dei confini e di Gerusalemme. Richieste considerate come la cicuta dal debolissimo Olmert consapevole di non poter far digerire allopinione pubblica lapertura di negoziati sullo status finale finché lAnp è retta da un governo che non riconosce Israele e non rinuncia alla violenza.
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