Cronaca locale

«Rifacciamo il naso soltanto a chi smette con la cocaina»

L’intervento di ricostruzione non sempre è possibile: le lesioni si devono stabilizzare in modo da permettere ai tessuti interni di diventare trattabili

Dopo l’allarme lanciato dalla Federazione degli operatori pubblici delle dipendenze (Federserd) cresce l’attenzione sulle lesioni da cocaina, capaci di rendere il volto, nei casi più gravi, quasi irriconoscibile.
«L’intervento per ricostruire il naso di pazienti che presentano lesioni da cocaina non è una strada sempre percorribile», avverte il Professor Mario Bussi, direttore della cattedra e dell’unità operativa di otorinolaringoiatria dell’Istituto scientifico universitario San Raffaele, centro di riferimento anche per gli interventi e la ricerca nel campo delle lesioni da cocaina. «Il presupposto fondamentale per sottoporsi a questo tipo di intervento infatti è la sospensione dell’uso della sostanza, per stabilizzare il danno e fermare infezioni e necrosi, e permettere ai tessuti di diventare trattabili. Solo a questo punto si può ricorrere alla chirurgia. Ma ci sono anche casi in cui la distruzione è estesa al punto da non rendere più possibile intervenire. Inoltre, una volta riparato il danno, bisogna astenersi dall’utilizzo di questa sostanza per evitare il ripresentarsi delle lesioni».
«I danni causati dall’abuso di cocaina sono più frequenti, gravi ed estesi di quanto normalmente si creda. Possono fare la loro comparsa lesioni localizzate nel setto nasale, paragonabili ad un “buco nero” che si estende al centro del volto, e che può portare in casi limite a distruzioni devastanti come il deterioramento del naso, degli occhi, o dare luogo a cavità che mettono in contatto le fosse nasali con le meningi, con lo slittamento di porzioni di cervello nel naso. La dipendenza da cocaina oggi coinvolge tutte le classi sociali, senza distinzione di sesso o d’età. Tuttavia dei circa cinque casi di particolare gravità che visitiamo ogni settimana, solo uno di questi si sottopone all’intervento, o perché le condizioni dell’ammalato non lo rendono possibile, o perché la persona non vuole essere curata».
Ma siamo effettivamente di fronte ad una invasione delle liste operatorie da parte di questo tipo di pazienti? «Il problema diffuso dalla Federserd, che non mi permetto di contestare, rappresenta comunque una parziale verità», commenta il professor Bussi. «Non ritengo che i programmi operatori possano venire inflazionati da questi pazienti la cui patologia è così grave da essere solo di rado controllabile con la chirurgia. Il costo sociale di questa chirurgia è comunque elevato, sia che si tratti di correzioni funzionali che possono essere sostenute dal Servizio sanitario nazionale, sia che si tratti di aspetti puramente estetici che sono generalmente a carico del paziente. Inoltre è bene ricordare che la chirurgia cui vanno incontro questi pazienti è particolarmente delicata e complessa, ed è una questione di coscienza del chirurgo non praticarla se non sussiste la totale astensione dalla droga.
Non tutti coloro che fanno uso di cocaina, però, corrono il rischio di perforazioni del setto. «Solo in certi soggetti esiste un danno progressivo dose-dipendente, che porta alla distruzione tissutale determinata da un processo chiamato apoptosi. Questo meccanismo, che avviene normalmente nell’organismo, è detto anche “suicidio cellulare”, e favorisce l’autoeliminazione delle cellule “vecchie” in favore di quelle “nuove”, garantendo così il ricambio cellulare. Ma in alcuni pazienti che abusano di cocaina questo processo è così tumultuoso da non consentire alle cellule “malate” di essere sostituite da quelle sane, e questo induce a pensare che esista una predisposizione genetica i cui meccanismi ad oggi non sono ancora noti».
Medici e ricercatori del San Raffaele sono tuttavia impegnati in prima linea per cercare di determinare le possibili cause di questo fenomeno. «Stiamo studiando i meccanismi che innescano questa morte biologica nei tessuti del naso degli ammalati, e ci stiamo impegnando per arrivare a determinare quali soggetti possono con maggiore probabilità prevedere di ritrovarsi con simili lesioni.

Il San Raffaele si sta inoltre preparando a creare un team in grado di fronteggiare la patologia sotto vari punti di vista».

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