La riforma dimentica il ruolo delle agenzie e le politiche attive

di Stefano Colli Lanzi*

Questa riforma rischia di essere inefficace: coglie certamente il tema della flessibilità in uscita, modifica in senso positivo gli ammortizzatori sociali, attacca le forme di cattiva flessibilità e ridimensiona il ruolo del contratto a termine. Ma politiche attive e riconoscimento del ruolo delle Agenzie per il Lavoro costituiscono i grandi assenti di una riforma del lavoro che appare il frutto di trattative che rischiano di arenarsi in nuove, dannose, mediazioni. Eppure proprio le Agenzie per il Lavoro si sono dimostrate in questi anni un soggetto efficace sia nell’intermediare domanda ed offerta di lavoro, che nell’accompagnare le persone in percorsi formativi e di continuità professionale.
Ma c’è di più: la misura contenuta nel testo di Riforma - che consiste nell’istituire forme di ammortizzatori sociali passivi di carattere universale - dovrebbe condurre ad una maggiore necessità che, in caso di licenziamenti, imprese e pubblica amministrazione destinino parte delle risorse a facilitare il reimpiego più rapido possibile delle persone, anche per contenere la spesa sociale improduttiva costituita dagli ammortizzatori. In questo senso avvalersi di soggetti competenti e che rappresentano una vera e propria infrastruttura sul territorio avrebbe consentito notevoli vantaggi per persone, aziende e sistema produttivo del Paese.
Al contrario, non solo non viene valorizzata in alcun modo la capacità delle Agenzie di essere soggetti attivi nel mercato del lavoro, ma addirittura si continua a limitare il ricorso al contratto di somministrazione solo all’interno di certe causali, lo si fa rientrare nel conteggio dei 36 mesi della stabilizzazione al pari del tempo determinato e lo si carica dell’extra costo dell’1,4%, sottraendo risorse ai fondi destinati alla formazione. In tal modo si va ulteriormente a sostituire una politica attiva, efficace, virtuosa, che ha prodotto risultati nella storia recente, gestita dalla bilateralità - come quella relativa ai fondi Forma.Temp - con l’ennesima forma di politica passiva. Non si coglie così l’occasione per incentivare l’uso della somministrazione come strumento di flessibilità buona rispetto ad altre forme non ugualmente tutelanti per il lavoratore. Malgrado questo è comunque positivo che proprio in un provvedimento mirato a limitare il grado di utilizzo dei contratti a tempo determinato, si sia pensato di eliminarne la causale almeno nel primo utilizzo riconoscendone la scarsa adeguatezza come strumento di tutela dei lavoratori ed il suo essere fonte di potenziale contenzioso. Il paradosso è che ad oggi questa causale non sia stata eliminata per i contratti di somministrazione che grazie al ruolo delle Apl rappresentano già uno strumento di flexicurity molto più efficace del tempo determinato. Invece proprio la a-causalità dei contratti di somministrazione, l’incentivazione della stabilizzazione dei lavoratori somministrati e la difesa del virtuoso sistema di politiche attive delle Apl gestito dalla bilateralità sono alcuni tra i punti cardine che la riforma per ora tralascia e che possono rafforzare lo sviluppo di una buona flessibilità a costo zero per il Paese. Senza questa importante integrazione la riforma rischia di irrigidire indiscriminatamente il Sistema.
Più in generale un sistema economico e un mercato del lavoro sani hanno bisogno di sicurezza, ma anche di flessibilità.

Proprio per favorirne la diffusione le Apl possono giocare un ruolo chiaro, a condizione che vengano adeguatamente sostenute.
*Amministratore delegato
Gi Group e Presidente
Gi Group Academy
www.scolliniamo.it

@collilanzi

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