È buio pesto sugli sviluppi del progetto di rientro volontario dei romeni in patria lanciato dal sindaco Veltroni nel giugno scorso. Il protocollo firmato dal primo cittadino con i sindaci di Calarasi, Kraiova e Turni Severin, città da cui provengono circa l80 per cento dei rom emigrati a Roma, prevede sulla carta una disponibilità iniziale di mille posti di lavoro, ma nulla viene detto sulle modalità del rientro e sulleffettiva disponibilità di un alloggio per le famiglie che decidono di aderire al progetto.
Bocche cucite allAssessorato delle Politiche Sociali capitolino, che non fornisce alcuna cifra sui rientri in Romania e in un laconico comunicato informa che «da luglio è attivo presso il Centro delle Migrazioni di via Assisi lo sportello per la promozione del rientro volontario in Romania di famiglie, persone singole e minori, attualmente presenti nella capitale in condizioni precarie e di estrema vulnerabilità». Lo sportello rappresenterebbe un primo contatto, sotto forma di colloquio, tra le famiglie o i singoli che hanno intenzione di rimpatriare e gli uffici del Comune, che sarebbero così messi in grado di effettuare un sondaggio sui bisogni e le richieste avanzate. Smentito inoltre dallufficio stampa della Milano il contributo in denaro (variabile dai 500 ai mille euro) che in un primo momento sembrava essere stato messo a disposizione dal Comune. A riportare con i piedi per terra Veltroni ci pensa Massimo Converso, presidente nazionale dellOpera Nomadi. «Al momento - informa Converso - non ho notizia di romeni rimpatriati. La verità è che la questione dei rimpatri non è ancora stata impostata, per adesso è ferma. Lestate scorsa lassessore Milano ha scritto alle associazioni chiedendo collaborazione per unindagine conoscitiva, niente più». «È inutile girare intorno al problema - avverte Converso - i termini dellaccordo devono risolversi nella possibilità di una casa e di un lavoro sicuro, altrimenti Veltroni non troverà nessun romeno disposto a tornare nel Paese dorigine». Per questo lOpera Nomadi chiede che il ministero del Lavoro, di concerto con i sindacati, controlli le aziende italiane in Romania e «fermi la selvaggia politica dei salari, che è la prima causa dellimmigrazione in Italia e a Roma». «Come si può pretendere che un romeno torni in patria, quando la retribuzione media di un operaio varia dagli 80 ai 120 euro al mese, mentre il costo della vita è alle stelle?.
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