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Il risanamento della Fiat vale il 30% della ripresa economica italiana
Si amplia il ritardo strutturale della Penisola rispetto agli altri Paesi avanzati
Si amplia il ritardo strutturale della Penisola rispetto agli altri Paesi avanzati
da Milano
Due storie che fanno ben sperare: il risanamento Fiat e le aggregazioni bancarie. Per il resto leconomia italiana mostra la corda. Peggio: «Abbiamo esaminato da vicino qualche cifra e ci siamo spaventati», ha spiegato Mario Deaglio nel presentare il dodicesimo rapporto sulleconomia globale e lItalia promosso dal Centro Einaudi e da Lazard. «Negli ultimi 10-15 anni la Penisola ha accumulato un divario rilevante con gli altri Paesi avanzati». A preoccupare Deaglio un paio di tabelline che sintetizzano realtà strutturali a volte perse di vista. La prima si riferisce al prodotto interno lordo per abitante. Nel 1997 i quattro grandi Paesi europei (Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia) sono più o meno allo stesso livello.
Fatto 100 il valore medio dellEuropa a 25, si va dai 117 della Germania ai 112 della Gran Bretagna; lItalia sta in mezzo, poco sotto quota 115. Nel 2005 la situazione è radicalmente mutata: a guidare il quartetto è la Gran Bretagna, ben sopra 115; lItalia è precipitata a 100, al livello di una media europea che comprende Paesi come Romania e Bulgaria. La spiegazione è nellaltra tabella che parla di produttività oraria del lavoro: nel 2000 eravamo in media con lEuropa a 25 (dato tuttaltro che esaltante) oggi siamo ben al di sotto, intorno a quota 90. Certo, ha aggiunto Deaglio, ora una qualche ripresa si avverte. E una buona parte è legata alleffetto Fiat.
«La stima è che il 20-30% della crescita totale del valore aggiunto dipenda dalla casa torinese». Secondo lo studio infatti il valore aggiunto (differenza tra fatturato italiano di Fiat e acquisti di beni e servizi) è salito di 2 miliardi di euro a fronte di una crescita del Pil di circa 25 miliardi. Leffetto di stimolo della domanda del gruppo torinese sul suo indotto (dalla componentistica alle assicurazioni o il credito al consumo), è pari a circa quattro volte il valore aggiunto. Dallaumento della domanda estera arriva circa il 30% dellaumento complessivo del Pil italiano, più o meno altrettanto dagli investimenti interni. Fuori dallauto i consumi interni sono invece saliti nel 2006 di appena lo 0,1-0,2%. «Su questo e sul ricompattamento del settore bancario, senza la quale lidentità economica italiana sarebbe stata a rischio, si può costruire», è la conclusione di Deaglio.
Due storie che fanno ben sperare: il risanamento Fiat e le aggregazioni bancarie. Per il resto leconomia italiana mostra la corda. Peggio: «Abbiamo esaminato da vicino qualche cifra e ci siamo spaventati», ha spiegato Mario Deaglio nel presentare il dodicesimo rapporto sulleconomia globale e lItalia promosso dal Centro Einaudi e da Lazard. «Negli ultimi 10-15 anni la Penisola ha accumulato un divario rilevante con gli altri Paesi avanzati». A preoccupare Deaglio un paio di tabelline che sintetizzano realtà strutturali a volte perse di vista. La prima si riferisce al prodotto interno lordo per abitante. Nel 1997 i quattro grandi Paesi europei (Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia) sono più o meno allo stesso livello.
Fatto 100 il valore medio dellEuropa a 25, si va dai 117 della Germania ai 112 della Gran Bretagna; lItalia sta in mezzo, poco sotto quota 115. Nel 2005 la situazione è radicalmente mutata: a guidare il quartetto è la Gran Bretagna, ben sopra 115; lItalia è precipitata a 100, al livello di una media europea che comprende Paesi come Romania e Bulgaria. La spiegazione è nellaltra tabella che parla di produttività oraria del lavoro: nel 2000 eravamo in media con lEuropa a 25 (dato tuttaltro che esaltante) oggi siamo ben al di sotto, intorno a quota 90. Certo, ha aggiunto Deaglio, ora una qualche ripresa si avverte. E una buona parte è legata alleffetto Fiat.
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