da Milano
Due storie che fanno ben sperare: il risanamento Fiat e le aggregazioni bancarie. Per il resto leconomia italiana mostra la corda. Peggio: «Abbiamo esaminato da vicino qualche cifra e ci siamo spaventati», ha spiegato Mario Deaglio nel presentare il dodicesimo rapporto sulleconomia globale e lItalia promosso dal Centro Einaudi e da Lazard. «Negli ultimi 10-15 anni la Penisola ha accumulato un divario rilevante con gli altri Paesi avanzati». A preoccupare Deaglio un paio di tabelline che sintetizzano realtà strutturali a volte perse di vista. La prima si riferisce al prodotto interno lordo per abitante. Nel 1997 i quattro grandi Paesi europei (Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia) sono più o meno allo stesso livello.
Fatto 100 il valore medio dellEuropa a 25, si va dai 117 della Germania ai 112 della Gran Bretagna; lItalia sta in mezzo, poco sotto quota 115. Nel 2005 la situazione è radicalmente mutata: a guidare il quartetto è la Gran Bretagna, ben sopra 115; lItalia è precipitata a 100, al livello di una media europea che comprende Paesi come Romania e Bulgaria. La spiegazione è nellaltra tabella che parla di produttività oraria del lavoro: nel 2000 eravamo in media con lEuropa a 25 (dato tuttaltro che esaltante) oggi siamo ben al di sotto, intorno a quota 90. Certo, ha aggiunto Deaglio, ora una qualche ripresa si avverte. E una buona parte è legata alleffetto Fiat.
«La stima è che il 20-30% della crescita totale del valore aggiunto dipenda dalla casa torinese». Secondo lo studio infatti il valore aggiunto (differenza tra fatturato italiano di Fiat e acquisti di beni e servizi) è salito di 2 miliardi di euro a fronte di una crescita del Pil di circa 25 miliardi. Leffetto di stimolo della domanda del gruppo torinese sul suo indotto (dalla componentistica alle assicurazioni o il credito al consumo), è pari a circa quattro volte il valore aggiunto. Dallaumento della domanda estera arriva circa il 30% dellaumento complessivo del Pil italiano, più o meno altrettanto dagli investimenti interni.
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