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Rischio crac La ricca Premier adesso piange

Così ricchi così indebitati. In cima a tutte le classifiche di fatturato, eppure zavorrati da debiti crescenti, preoccupanti, sempre più minacciosi. L’allarme è stato lanciato lo scorso inverno addirittura da Lord Triesman, presidente della Federcalcio inglese. Sul calcio inglese pende una montagna di debiti, oltre 3,3 miliardi di euro. Una cifra impressionante, senza eguali nel mondo. E dire che spesso, ancora oggi, il modello inglese viene preso ad esempio. All’avanguardia nello sfruttamento del brand, nelle strategie di marketing/merchandising, nella gestione degli stadi privati, nella vendita dei diritti televisivi. Tutto vero, salvo che quando si tratta di far quadrare i conti, anche dalle parti di Londra regna una certa spregiudicatezza finanziaria. Colpa soprattutto del monte-ingaggi, che continua a rappresentare - nonostante gli sforzi della maggior parte dei club - la principale voce in uscita. Anche così si spiega la cessione di Cristiano Ronaldo, uomo-simbolo della Premier League. Nonostante tre campionati vinti di fila, la Champions 2008 e la finale europea 2009 - vittorie che hanno portato almeno 300 milioni di euro nelle sue casse esangui - il Manchester United della famiglia Glazer continua ad essere alle prese con un’esposizione debitoria pari a 764 milioni di sterline (oltre 1,1 miliardi di euro). Facile dunque immaginare per quale motivo Sir Alex Ferguson non si sia precipitato a spendere i 94 milioni di euro pagati dal Real Madrid per il portoghese. Lo scozzese sa che le plusvalenze sono indispensabili anche per un club come lo United che pure dai soli diritti tv percepisce 90 milioni di euro all’anno. I costi restano enormi e la mutualità imposta nella redistribuzioni degli introiti della Premier League è penalizzante rispetto ad altre nazioni. Con un fatturato globale che sfiora i due miliardi di sterline, comunque, il campionato inglese resta il quarto evento sportivo più ricco al mondo, dietro le tre leghe americane, Nba Nfl e Mbl. Una miniera d’oro scoperta 17 anni fa quando la prima divisione – separandosi dal resto del calcio professionistico – ha costituito una propria lega indipendente, che gestisce autonomamente (e collegialmente) i guadagni. Un volano che genera sterline a ciclo continuo ma che parallelamente richiede massicci investimenti per sostenere la crescita. Così i campioni d’Inghilterra sono costretti a cedere il loro giocatore più forte, il Chelsea – con debiti solo di poco inferiori a quelli dello United – non riesce a presentare un’offerta convincente al Milan per Andrea Pirlo, il Liverpool ha rimandato la costruzione del nuovo stadio e si deve accontentare di operazioni di mercato minori, mentre l’Arsenal da almeno tre anni vende i suoi giovani migliori per ammortizzare i costi per la costruzione del nuovo Emirates stadium. Unica eccezione: il Manchester City dello sceicco di Abu Dhabi, Mansour bin Zayed Al Nahyan. Un mercato faraonico, quello dei Citizens, investimenti insostenibili per chiunque altro.

Un’eccezione, appunto.

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