Lo rivelano i deputati leghisti che l’hanno visto E mentre Gervasoni confessa, Sartor non parla

Lo rivelano i deputati leghisti che l’hanno visto E mentre Gervasoni confessa, Sartor non parla

«Non dorme da tre giorni», raccontano i deputati leghisti che ieri hanno visitato in carcere Cristiano Doni. E non sembra la preparazione migliore per una delle partite più delicate che il vecchio centrattacco abbia mai dovuto affrontare: il faccia a faccia di oggi pomeriggio con il giudice Guido Salvini, che ha ordinato il suo arresto per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Doni in cella non può incontrare i suoi coimputati nè guardare la televisione nè leggere i giornali. Ma può parlare con gli altri detenuti, con i «comuni», che sono in grado di raccontargli per filo e per segno cosa accade fuori.
Quindi Doni sa che i tifosi dell’Atalanta, quelli che fino a una manciata di giorni fa lo avevano difeso a dispetto di ogni evidenza, lo hanno definitivamente abbandonato: «Nessuna pietà per chi tradisce», diceva lo striscione esposto in curva. E sa anche che i suoi coimputati (con l’unica eccezione di Gigi Sartor, che ieri si è avvalso della facoltà di non rispondere) stanno facendo la gara a chi confessa di più e più in fretta: dopo Nicola Santoni e Alessandro Zamperini, alla lista ieri pomeriggio si aggiunge Carlo Gervasoni, difensore del Piacenza, che oltre ad ammettere tutte le accuse contestate nell’ordine di custodia ha rivelato di avere partecipato alla combine di una sfilza di partite dei campionati minori.
«Doni è molto provato dal punto di vista psicologico ed emotivo, è come se si trovasse sotto a un treno», dicono ancora i due deputati che lo hanno incrociato in cella, «è preoccupato per la sua famiglia e in particolare per la figlia». A questo punto neanche una confessioni piena potrebbe permettere a Doni di uscire dal carcere in tempo per festeggiare il Natale a casa. Ma scegliere di collaborare con gli inquirenti servirebbe, se non altro, a sgravarsi da un peso, e a chiamarsi fuori da un sistema che le ultime scoperte stanno mostrando ancora più inquietante di quanto si potesse immaginare: non un «giro» più o meno artigianale di allibratori disonesti e scommettitori pronti a tutto, ma un’organizzazione criminale internazionale, ramificata ed agguerrita.
Nell’ordinanza di custodia, il ruolo di Doni - a differenza, per esempio, di quello di Zamperini - viene tenuto abbastanza separato da quello della gang internazionale capeggiata da «Dan» Seet Eng che tirava le fila del traffico.

Doni, secondo l’accusa, si limitava ad aggiustare le partite: e lo faceva sia nel proprio interesse, facendosi pagare direttamente dall’organizzazione o ottenendo di scommettere a colpo sicuro, sia nell’interesse della società. In sostanza, Doni secondo la Procura dava esecuzione, accordandosi con i giocatori delle squadre avversarie, a «biscotti» già decisi al di sopra di lui. E anche di questo approfittavano poi i signori delle scommesse.

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