Rivolta in Algeria per pane e democrazia: un morto

Le autorità hanno perfino cancellato le partite del campionato di calcio. Ieri, ad Algeri, la polizia ha schierato le sue forze davanti a moschee e università per evitare che gli scontri di giovedì notte ricominciassero dopo la preghiera islamica del venerdì. Le proteste che da diversi giorni attraversano il Paese sono degenerate in violenza. Centinaia di giovani hanno manifestato contro l’aumento dei prezzi del cibo – zucchero, farina, olio - saliti del 30% questo mese, e la disoccupazione. Negozi sono stati presi d’assalto e saccheggiati. Un manifestante è morto. Lo riferisce il quotidiano El Watan nel suo sito online, precisando che il dimostrante, di 18 anni, è rimasto ucciso nel comune di Ain Hadjel, circa 200 km a sud est di Algeri, colpito da alcune pallottole. Nel paese da martedì si susseguono le manifestazioni contro l’aumento dei prezzi di generi alimentari di largo consumo. Al contrario di quello che succede in altri paesi vicini, le manifestazioni in Algeria non sono rare. Negli ultimi due anni, il numero delle proteste è aumentato assieme al coinvolgimento delle giovani generazioni. All’origine delle contestazioni c’è la frustrazione nei confronti di una ricca élite al potere, agevolata nell’accesso al mondo del lavoro, ci sono un diffuso malessere sociale, la disoccupazione, la carenza di abitazioni popolari, l’inflazione in crescita, le repressioni della polizia, la mancanza di libertà politica. Secondo il Fondo monetario internazionale, il 75% degli algerini ha meno di 30 anni e il 20% dei giovani è senza lavoro.
Le manifestazioni algerine sono l’ultimo capitolo di un’ondata di proteste popolari che ha colpito in questi giorni alcuni paesi arabi, in particolare quelle nazioni definite da gran parte della stampa internazionale «regimi arabi moderati», alleati d’Europa e Stati Uniti, preoccupati dal futuro incerto di questi governi. Le contestazioni ad Algeri seguono inediti scontri in Tunisia, dove il 17 dicembre un giovane ambulante si è dato fuoco dopo che le autorità avevano confiscato le verdure e le frutta che vendeva illegalmente, perché disoccupato. Il fatto ha scatenato manifestazioni nel resto del Paese. Le motivazioni della protesta tunisina sono simili a quelle algerine: la frustrazione di una generazione priva di aspettative lavorative è amplificata dalla repressione politica.
Le manifestazioni tunisine sono le più importanti in 23 anni di regime del presidente Zine El Abidine Ben Ali e sono degne di nota in un paese in cui il dissenso non è tollerato. Molti attivisti sono stati arrestati in queste ore e negli scontri sono rimaste uccise tre persone. La Tunisia, come l’Egitto, in cui continuano le proteste contro il regime in seguito al sanguinoso attentato di Capodanno a una chiesa copta, è stata capace di contenere con abilità ogni tipo di opposizione. Sia a Tunisi sia al Cairo esiste il problema della successione a due leader anziani, Ben Ali e Hosni Mubarak, ma sulla scena mancano figure politiche credibili, capaci di creare un’alternativa.
In Giordania, nei giorni scorsi, una faida tribale si è trasformata in una contestazione violenta contro il governo, accusato di non aver trovato gli assassini di due lavoratori uccisi recentemente da sconosciuti. Nel governatorato di Maan, regione impoverita dove è forte il potere del fondamentalismo islamico, una folla arrabbiata ha attaccato edifici municipali e bruciato le automobili della polizia.
É una coincidenza che queste proteste avvengano allo stesso tempo in diversi Paesi arabi e le ragioni del malessere sono diverse per ogni nazione. Non mancano però elementi comuni, suggerisce Marc Lynch su «Foreign Policy»: regimi polizieschi antichi e corrotti non riescono più a dare risposte adeguate alle nuove generazioni più istruite - collegate al mondo attraverso internet e le tv satellitari – e a gestire le sfide economiche e sociali. «In Tunisia, Algeria, Egitto il contratto sociale è fallito – spiega al «Giornale» Steven A.

Cook, del Council on Foreign Relations - I leader al potere hanno dimostrato abilità nel reprimere le opposizioni, ma per quanto a lungo potranno ancora farlo? Non ci sarà una rivoluzione, ma lo status quo è sotto attacco.

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