La rivolta delle segretarie «Non siamo caramelle per gli occhi dei clienti»

L’ultimo episodio a New York: sei dipendenti di una banca chiedono danni per 1,4 miliardi di dollari: «Discriminate e sottopagate»

Eleonora Barbieri

Impiegate in una grande banca d’affari, le dipendenti della Dresdner Kleinwort Wasserstein di New York pensavano, ingenuamente, di andare a lavorare. E invece no, perché ogni giorno, quando varcavano la soglia della sede nella Grande Mela non si immergevano nel centro della finanza globale, bensì in un ruolo da «pin-up». Assunte, come hanno denunciato sei di loro, non per le loro capacità ma, piuttosto, come «caramelle per gli occhi» dei clienti che, mentre trattavano di questioni di soldi, potevano distrarsi gettando uno sguardo alla loro scollatura, anziché rovinarsi i denti con lo zucchero dei dolciumi.
L’accusa di discriminazione sessuale nei confronti dei grandi gruppi non è nuova, visto che, in passato, già Morgan Stanley, Wal-Mart, Boeing e Citigroup si sono trovati di fronte a costose cause collettive: ma l’azione intentata contro la banca tedesca rischia di battere ogni record per il risarcimento richiesto, quasi un miliardo e mezzo di dollari. Cinque impiegate sono dipendenti della sede newyorchese dell’istituto, un’altra lavora invece nella filiale di Londra; tutte hanno comunque intentato la causa presso la Corte federale di Manhattan.
«Uno dei miei superiori mi ha soprannominata la “Pamela Anderson della borsa”» ha spiegato Katherine Smith: forse il nomignolo può far sorridere, ma l’uomo le avrebbe anche rinfacciato di fare pochi affari con un cliente «perché è una femmina». Nella denuncia, la compagnia è accusata di ostacolare le promozioni e l’accesso delle dipendenti a ruoli di rilievo e di pagarle meno dei colleghi: fra i manager della divisione esecutiva (la più prestigiosa della società), le donne si contano sulla punta delle dita, visto che sono il due per cento di tutto lo staff; mentre, un gradino più in basso, le dirigenti rappresentano il 15 per cento del personale. La banca tedesca ha respinto le accuse: «La Dkw rispetta tutte le norme di lavoro ed è certa che ogni affermazione contraria sia priva di fondamento. La Dkw ha intenzione di difendersi con forza». Le signore però sono di un’altra opinione e, soprattutto, non hanno tollerato di essere considerate delle belle statuine: «Anche se siamo nel 2006 il “soffitto di vetro” esiste ancora ed è molto solido in questa banca, dove siamo trattate come cittadine di seconda classe»: una delle impiegate, ad esempio, sarebbe stata caldamente invitata a lasciare il tavolo durante una cena per celebrare un affare importante, per consentire a colleghi e clienti di gustarsi uno striptease in un locale. «L’azione legale - ha spiegato Joyti Ruta - è stata la mia ultima spiaggia, dopo nove anni di lavoro».


Una scelta non facile, che molte donne hanno già compiuto, anche sulla scia del successo di Allison Schieffelin che, nel 2001, è riuscita a vincere la sua causa contro un colosso come Morgan Stanley; dopo di lei, Ann Hopkins ha combattuto contro Price Waterhouse, senza fermarsi di fronte all’ostilità dei colleghi. «Mi hanno chiamata “macho” e mi hanno detto che dovrei andare a scuola di charme»: ma ha ottenuto la sua promozione. Anche se in un’aula di tribunale.

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