Dal rock alla fotografia, l’arte di Moby

Musicista, dj, compositore di colonne sonore e non solo: Richard Melville Hall, alias Moby, newyorkese, classe '65, è anche fotografo capace. Il suo ultimo progetto, «Destroyed», dà il titolo a un album di quindici tracce e a un volume fotografico firmato dall'artista. I suoi scatti, raccolti in un libro edito in tutto il mondo da Damiani, sono ora esposti in una serie di mostre itineranti per il globo. Milano non manca all'appello: Moby esporrà infatti, in anteprima italiana, una cinquantina di scatti alla Galleria Antonio Colombo (dal 17 maggio fino al 18 giugno, inaugurazione il 17 maggio alle 18.30, da martedì a sabato dalle 15 alle 19, ingresso libero): una mostra-evento impreziosita da una performance live dell'artista (alle 19 del 27 maggio, su invito) negli spazi della galleria di via Solferino 44.
Rampollo dell'intellighenzia americana (Herman Melville, il «papà» di Moby Dick, era suo pro-prozio, sua madre è pittrice, uno zio è scultore, un altro è fotografo), Moby ha introdotto sulla scena musicale degli anni Novanta atmosfere uniche nel loro genere, diventando presto una star dell' elettronica. «Destroyed» è il suo decimo album, ed è un progetto artistico espressamente dedicato ai non-luoghi contemporanei: gli scatti in mostra da Antonio Colombo ci raccontano infatti di aeroporti vuoti, di camere d'albergo che si affacciano su strade abbandonate, di folle oceaniche (quelle dei suoi concerti) viste dal backstage, di paesaggi urbani surreali perché scattati dal finestrino di un aereo al decollo. Come l'album è - per stessa ammissione dell'artista - «un prodotto del jet lag», con pezzi scritti e registrati nel cuore della notte, così gli scatti fotografici in mostra a Milano testimoniano l'odissea contemporanea di un'artista che vive perennemente in tournée. Non a caso il titolo del progetto nasce da una visione di un'insegna luminosa vista in un corridoio isolato dell'aeroporto La Guardia di New York: «Chiunque abbia viaggiato conosce bene la sensazione che si prova in aeroporto o in albergo dove tutto è vagamente familiare ma straniante nella sua familiarità», spiega Moby nel volume fotografico. «Destroyed» vuole comunicare, grazie alla musica e attraverso l'occhio della macchina fotografica, quella sensazione di esasperata stanchezza che somiglia quasi allo star bene o, per dirla con le sue parole, «il risvolto narcotico del sentirsi distrutti». La mostra di Moby da Antonio Colombo, galleria che negli anni si è distinta per la qualità degli artisti selezionati, non è il vezzo di una star americana che «gioca» a fare foto con la macchina digitale in giro per il mondo: appassionato di reflex fin da bambino, Moby è laureato in Cinema e fotografia presso il Purchase College della State University di New York («ho passato anni nella camera oscura», racconta) e amante di maestri contemporanei come Sally Mans. I suoi scatti, che rifuggono dal photoshop, sono quasi tutti realizzati con una reflex manuale, e si vede: la profondità del campo, l'uso della luce, la ricerca della composizione dimostrano un approccio pensoso e meditato alla fotografia. Scenografiche o essenziali, le foto di Moby sono il contrappunto visivo delle sue canzoni: «Il tour è un universo di contrasti e stranezze, ed è ciò che cerco di esprimere nelle mie foto», spiega.

Se «Destroyed», con le sue sonorità rarefatte, è un album che evoca le atmosfere notturne, quasi surreali, in cui è stato concepito, gli scatti in mostra da Antonio Colombo sono un affascinante reportage degli spazi che hanno fisicamente ispirato quelle canzoni.

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