Coronavirus

È allarme Covid tra i bengalesi. Ma le moschee restano aperte

Chiuso uno stabilimento balneare ad Ostia dopo che un cittadino bengalese risultato positivo al Covid era andato a lavoro nonostante la febbre e i dolori muscolari. E a Tor Pignattara l'emergenza non ferma le moschee che restano aperte per la preghiera

È allarme Covid tra i bengalesi. Ma le moschee restano aperte

Dopo la chiusura di uno stabilimento ad Ostia per il contagio di un lavoratore del Bangladesh, i riflettori sono ancora puntati sulla comunità bengalese della Capitale.

La quasi totalità dei contagi che si registrano ogni giorno nella regione sono legati ai voli che nelle scorse settimane sono atterrati a Fiumicino da Dacca. Nel Paese asiatico dove il distanziamento sociale è un’utopia il virus circola ormai a livello di "community transmission", tanto che il governo italiano dieci giorni fa ha disposto la chiusura dei collegamenti aerei. Dei 14 casi registrati ieri, la stragrande maggioranza sono di importazione e almeno nove hanno un link con i voli di rientro dal Bangladesh.

Tra loro c’è anche l’impiegato del lido di Ostia che ieri ha dovuto chiudere i battenti in via precauzionale. Ieri sera l’Unità di crisi Covid-19 del Lazio ha fatto sapere che la Asl Roma 3 ha dato il via all’indagine epidemiologica "a partire dai dipendenti della struttura e dai contatti stretti dell'uomo che è stato posto in isolamento". Il caso indice sarebbe un coinquilino. Un connazionale, che nei giorni scorsi era stato anche a Milano. Per questo sono state avviate le procedure del "contact tracing nazionale".

Da quanto ricostruisce la stessa Asl, sembrerebbe che il cittadino bengalese impiegato nella struttura del litorale romano fosse andato a lavorare nonostante avesse già i sintomi della malattia. L’uomo, che ora è ricoverato allo Spallanzani, accusa i primi dolori muscolari il 12 luglio scorso. Il 14 ha anche qualche linea di febbre, ma nonostante ciò continua a recarsi al lavoro per altri due giorni, fino al 16.

"Questa circostanza la considero grave – ha commentato l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato - con la febbre e con sintomi si deve rimanere a casa e contattare un medico, non è possibile che si vada in giro o al lavoro". "Comprendo le esigenze lavorative e di proseguire nelle proprie attività – ha aggiunto - ma il rischio per la collettività è troppo elevato".

Sotto accusa c’è il mancato rispetto delle regole da parte di qualcuno. In alcune sale dedicate alla preghiera islamica, ad esempio, come testimonia un reportage del quotidiano Il Tempo, la raccomandazione di sospendere le celebrazioni per arginare la diffusione del contagio è stata ignorata. All’ingresso viene misurata la temperatura, ma i locali delle moschee di Tor Pignattara continuano ad essere frequentati da decine di persone.

La maggior parte degli appartenenti alla comunità si è reso disponibile a collaborare con le autorità fin dall’inizio dell’emergenza. Ma ora c’è chi protesta. L’associazione Dhuumcatu ha fatto appello al Presidente della Repubblica per denunciare il respingimento dei 125 cittadini bengalesi atterrati lo scorso 8 luglio a Fiumicino e Malpensa con due voli provenienti dal Qatar.

"Con questo respingimento collettivo su base etnica, cosa di per se illegale, decine di persone con regolari documenti italiani, con residenza in Italia e medico di base in Italia sono state rimandate in una zona considerata a rischio ed a tutti loro è stato impedito di accedere alle cure sanitarie costituzionalmente garantite in Italia", denuncia l’associazione in un comunicato stampa.

L'accusa al governo italiano è quella di aver compiuto l'ennesimo "atto discriminatorio, che aggrava la già precaria condizione di molti".

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