Rosencrantz e Guildenstern Un intrigo finito in dramma

Rosencrantz e Guildenstern Un intrigo finito in dramma
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Pietro Vernizzi

Amleto spiato dal buco della serratura. Sta forse qui il bello del dramma Rosencrantz e Guildenstern sono morti, scritto da Tom Stoppard, lo sceneggiatore del film Shakespeare in love, e incentrato su due personaggi minori del capolavoro del poeta inglese. Lo spettacolo torna per la seconda volta al Teatro Fontana, dove sarà fino a domani, grazie alla regia di Letizia Quintavalla e Bruno Stori e all’interpretazione di Stefano Braschi, Carlo Ottolini e Franco Palmieri.
L’Amleto secondo Stoppard è una rivisitazione originale, come si vede dal titolo che viola una delle regole più semplici: mai dire come vanno a finire le storie. Perché Rosencrantz e Guildenstern, amici del principe di Danimarca, alla fine dello spettacolo all’altro mondo ci vanno davvero. Chiamati a corte da re Claudio, zio di Amleto, per fare luce sul comportamento anormale del principe innamorato di Ofelia, sono incaricati di accompagnarlo in Inghilterra e di portare una lettera che ordina di ucciderlo. Ma, grazie a uno stratagemma di Amleto, saranno i due compagni a finire sul patibolo al suo posto.
Tutto questo è portato in scena da tre attori, attorno ai quali si muovono le proiezioni cinematografiche degli altri personaggi. Infatti, dopo il successo teatrale della pièce, nel 1990 Stoppard ne trasse un film, vincitore del Leone d’Oro a Venezia. Le due opere, teatrale e cinematografica, sono accostate, facendo interagire a contrasto personaggi e interpreti dal vivo. Su un palco di intrighi e illusioni, di apparizioni e dissolvenze, Rosencrantz e Guildenstern oscillano, come su un’altalena, tra la vita e la finzione teatrale, cercando le ragioni del loro essere in scena e, all’improvviso, non esserci più.
Perno del dramma è il piacere del teatro, metafora delle domande sulla vita. E così nel testo di Stoppard si parla di vero e di falso, di uscite ed entrate, di essere in costume, di simulazione come strumento per conoscere il personaggio: del lavoro dell’attore, insomma. Non ci sono sentimenti né passioni, solo due comparse che s'interrogano sul loro essere in scena.
Per rendere in pieno la teatralità della pièce, i registi non hanno esitato a sfrondarla senza pietà. Spiegano infatti Quintavalla e Stori: «Abbiamo tagliato le ripetizioni.

Organizzare le parole nello spazio è stata la nostra regia, conservare il senso cercandone i ritmi, trovare i vuoti tra le battute dilatando le stasi e risolvere l’inattività verbale con giochi d’azione». Pur con qualche cambiamento il dramma compie ormai trent’anni, ma non perde la sua capacità di coinvolgere il pubblico.

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