Racconta piccola racconta. Rubina Ali ha nove anni e non ha ancora il tempo di guardarsi dentro. È andato tutto molto veloce, la strada quando ha cominciato a camminare era fango e pioggia, e l’odore degli slums di Garib Nagar, alle porte di Mumbay, un carnaio di gente che urla, dove l’orizzonte neppure si vede e tutto sembra già scritto. A Mumbay quelli come lei vivono e muoiono quasi senza lasciare traccia. È tutto lì, in quelle baracche che impari a chiamare casa, dove il bagno non c’è e si sopravvive in una grande stanza, senza confini, senza intimità. Rubina non sa ancora bene perché il suo destino si è spezzato. Forse era scritto, in quella parte imponderabile del kharma che neppure i santi riescono a leggere. Comunque è andata così. C’è questo regista inglese che non ama le cose semplici. Si chiama Danny Boyle e il mondo l’ha conosciuto per il film Trainspotting. Quando decide di girare Slumdog Millionaire non sa ancora che vincerà otto statuette, ma una cosa è già decisa: i bambini della storia li prenderà dalle strade di fango di Mumbay. Rubina ha gli occhi che parlano. È lei la piccola Latika. È andata così. Rubina si ritrova dall’altra parte del cielo, oltre il grande schermo, dove le stelle camminano sui tappeti rossi e gli slums sono di cartone. Qualche volta si chiede quale sia la vita vera, quella o questa. La sua famiglia senza speranza o quel miracolo che ricorda la Milano di De Sica, anche se al posto delle biciclette c’è uno studio televisivo e un conduttore, molto più antipatico di Gerry Scotti, che vende sogni a colpi di domande: chi vuol essere milionario? Il protagonista del film, come molti sanno, risponde a tutto, anche all’ultima, che non sembra neppure così difficile: chi tra questi nomi è uno dei tre moschettieri? È facile. Aramis. Questo è il film. Poi c’è la vita.
La vita di Rubina conta ora solo nove anni. È una bambina. Magari qualcosa da raccontare ce l’ha. Ha visto la sua casa distrutta dalle ruspe. Ha vinto un Oscar. Ha calpestato in un attimo la polvere e gli altari, come quel Napoleone che nella prigione di Sant'Elena aveva cominciato a scrivere un po’ delle sue avventure, senza riuscire a finirle. Napoleone l’imperatore. Napoleone dalla Corsica a Waterloo e in mezzo la Francia, la rivoluzione e i mondo. Napoleone che non è riuscito a mettere la parola fine al romanzo della sua vita. Qualcuno ha detto a Rubina che doveva scrivere la sua storia, la storia della sua vita, la sua biografia. E lei l’ho ha fatto, nel senso che ha raccontato qualcosa e un professionista della scrittura l’ha fatta sembrare vera. Rubina ha parlato degli slums vicino alla ferrovie, degli hotel a 5 stelle dove si è ritrovata a dormire, delle 500 sterline che ha ricevuto per il film, che il padre considera una miseria. Tutto questo ora verrà pubblicato, pubblicizzato, venduto, snocciolato nei centri commerciali e nei talk show. Tutto questo diventerà un libro, un’autobiografia. Tutto questo finirà nel tritacarne delle storie usa e getta, anima da macello per il grande supermercato delle pop story, un quarto d'ora e via, avanti il prossimo. Un'altra storia, un altro caso umano da narrare. Rubina, o chi per lei, dirà che quella cosa che hanno detto del padre e dello zio è una bugia. Non è vero che volevano venderla per 200mila euro a una finta coppia di Doubay. Non è vero quello che scrive Mazher Mahmood, famoso per i suoi scoop sotto copertura. Non è vero che lo zio per alzare il prezzo abbia detto al finto sceicco: «La bambina ora è speciale. Non è una bambina qualunque, è una bambina da Oscar!». Tutto questo Rubina nella sua biografia non lo scriverà, magari farà qualche polemica su Bollywood e le sue leggi, che promette e poi non paga. E l'unica cosa vera sarà che, sì, lei vorrebbe studiare e scappare da quelle strada di fango e miseria.
La vita a nove anni ha ricordi brevi, quotidiani. Si racconta quello che accade giorno per giorno. Non serve la prospettiva. Ogni santo o maledetto giorno è solo diverso dall'altro. Un tempo le memorie erano una linea rossa sotto il conto delle entrate e delle uscite, come una partita doppia. Era un modo per mettersi davanti alla propria anima e chiacchierare un po’, mischiando un po’ di verità, raccontando dei successi e dei fischi parlarne poco o mai. Le memorie erano una sorta di testamento, qualcosa di te da lasciare ai posteri. Erano i ricordi di chi, grande o piccolo, era arrivato alla fine della strada. Tutto questo per Rubina non vale. La sua strada è appena incominciata. È il fango di Dubai e le stelle del cinema. A nove anni non si fanno i conti. A nove anni si vive. E basta. Rubina magari ha raccontato qualcosa alle sue amiche. Quei particolari che vedi a misura di bambina, come le scarpe che luccicavano di Nicole, così alta che è quasi impossibile vedere la fine delle gambe. Ma tutto questo non finirà in Rubina, my life. Il libro di una vita abbozzata.
Rubina non ha scritto per ricordare. Non ha scritto, semplicemente. A Rubina hanno solo preso un pezzo di anima e ci hanno scritto sopra «for sale».
In questo mondo in cui tutto viene consumato in fretta non ci sono solo gli sceicchi a contrattare il prezzo. Quel pezzo di anima di Rubina vale 9 dollari e 99. E un gettone di presenza per il prossimo talk show. Avanti. La domanda delle domande in fondo è sempre la stessa: chi vuol esser milionario?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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