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Rugby, l'Italia a Parigi si sveglia quando è troppo tardi

46 a 20: senza storia la penultima giornata del 6 Nazioni per gli azzurri di Nick Mallet. Gli sbagli di sempre, e stavolta soffre anche la mischia

Il rugby è stato inventato dai francesi per batterci tutte le volte che vogliono. Tecnicamente non è esatto, perchè A) il rugby lo hanno inventato gli inglesi, B) una volta li abbiamo battuti. Ma la freddura rende bene l'idea di quello che si è visto allo Stade de France nella penultima giornata del Sei Nazioni 2010: una partita a senso unico, con l'Italia che per tutto il primo tempo non supera la metà campo, e i francesi che si permettono di fare quel che gli pare. Compreso, ogni tanto, battere la fiacca.
«Dobbiamo fare la partita della vita», aveva detto il pilone azzurro Martin Castrogiovanni, uno che non si tira mai indietro. Ma così non è stato. Si potrebbero fare le pulci alle prestazioni di questo o quel giocatore italiano, analizzare azioni su azioni, cercare di capire perchè si debba andare a pescare fino in Australia e a spacciare per italiano un mediano d'apertura poco illuminato come Craig Gower. Ma la verità è che, stavolta come non mai, più delle colpe dell'Italia hanno contato gli straordinari meriti dell'avversario, la perfezione tecnica e atletica di una Francia che ha fatto vedere al pubblico italiano quale spettacolo sia il rugby giocato ai livelli più alti.
Da quei livelli, per la trentesima volta in trentuno incontri con i «cugini», l'Italia ha confermato di essere lontana. Certo, si può consolarsi ricordando che contro questa Francia hanno perso gli All Blacks, e che questa stessa Francia ha asfaltato poche settimane fa uno squadrone come l'Irlanda. Il problema è che nessun'altra squadra europea ha finora dimostrato la costanza dell'Italia nel perdere. La bella vittoria sulla Scozia al Flaminio si conferma come un lampo nel buio, ai danni peraltro dell'unica squadra europea in condizioni di subalternità paragonabili alle nostre.
Oggi, a Parigi, la partita poteva considerarsi conclusa già all'intervallo. Gli azzurri vanno negli spogliatoi sul 22-3, infilzati da tre mete francesi, e poteva andare peggio: ogni volta che i «galletti» premono sull'acceleratore entrano in profondità nella difesa italiana. In difficoltà Tito Tebaldi, mediano di mischia, che abbocca in pieno alla finta del suo dirimpettaio aprendo la strada - dopo lo sei minuti - alle marcature transalpine. In difficoltà i tre-quarti, soprattutto dopo che Gonzalo Garcia si fa espellere per dieci minuti. E in difficoltà anche il pacchetto di mischia, il nostro punto di forza tradizionale, che si fa fischiare contro falli a ripetizione prima di prendere le misure all'arbitraggio e riordinare un po' le idee. Ma ormai è tardì.
E quella che rientra in campo nel secondo tempo è l'Italia di sempre: il consueto mix di coraggio, abnegazione, confusione, passaggi sballati, placcaggi ciccati, piccoli e decisivi errori individuali. I francesi se la prendono comoda, ogni tanto ci lasciano sfogare, poi ci infilano nei modi più disparati: e siccome sono francesi ci mettono la spocchia di sempre, come fossero lì ad allenarsi. Quando l'Italia sembra scuotersi dall'abbattimento psicofisico, castiga l'alterigia dei francesi: due mete una dopo l'altra, entrambe su numeri di Pablo Canavosio, che rendono meno doloroso il passivo. Ma la diagnosi non cambia. Finisce 46 a 20. Tra sei giorni c'è il Galles, a Cardiff, e neanche lì ci sarà da ridere. Ma questo è il rugby, dove le vittorie contano meno del coraggio e dell'orgoglio.

Altrimenti un ct come Mallet, che sulla panchina azzurra ha festeggiato ieri la sua ventunesima sconfitta su venticinque incontri, si starebbe già cercando un altro posto.

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