Un contingente di 7.600 uomini, equamente ripartito in basi militari nelle due Repubbliche secessioniste georgiane di Abkhazia e Ossezia del Sud. È questo il programma dellesercito russo per limmediato futuro, e nel renderlo noto il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha chiarito che i soldati inviati da Mosca rimarranno sul posto a lungo, «allo scopo di prevenire il ripetersi di aggressioni georgiane». Il presidente russo Dmitry Medvedev ha incaricato il ministro della Difesa Anatoly Serdiukov di occuparsi delle modalità del «dispiegamento di basi» militari russe nei due staterelli autoproclamatisi indipendenti.
Lannuncio giunge non casualmente proprio il giorno dopo la visita della missione europea Sarkozy-Barroso-Solana in Russia. Ma chi aveva voluto presentare come un successo laccettazione di un calendario per il ritiro delle truppe russe dal territorio della Georgia avrà di che riflettere. Esistono, è vero, buone probabilità (non la certezza, visto che il leader nominale del Cremlino insiste nel lamentare la presunta inaffidabilità dei georgiani) che i russi lascino effettivamente la Georgia entro fine mese; ma lannuncio di Lavrov, unito alla conferma giunta ieri dellintenzione di Mosca di aprire in tutta fretta relazioni diplomatiche ufficiali con Abkhazia e Ossezia del Sud, svela chiaramente il gioco. La Russia si annette di fatto le due repubblichette caucasiche, rispolverando il vecchio schema sovietico dell«aiuto fraterno» concesso a degli Stati sovrani su loro stessa richiesta (Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968 e Afghanistan 1979 sono i più classici esempi); sgombera - se lo farà davvero, ma a questo punto forse le conviene perfino - il territorio della Georgia, ma rimane con basi militari e migliaia di propri soldati allinterno di aree che secondo il diritto internazionale appartengono alla Georgia stessa, e che distano poche decine di chilometri dalla sua capitale; crea un precedente inquietante per una quantità di Stati est-europei che della propria (vera) sovranità intendono disporre liberamente, scegliendosi amici e alleati, ma che Mosca pretende di avere il diritto di intimidire sfruttando come leva la loro precedente condizione di vassalli e le minoranze russe che vi risiedono.
Un gioco che preoccupa un gigante dai piedi dargilla come lUcraina, che ancora ieri nel vertice con lUe tenuto a Parigi, si è visto offrire un «accordo di associazione» entro il 2009 che prevede unarea di libero scambio, più il riconoscimento della «storia comune e dei valori comuni» tra Ucraina e Unione europea, e avvio «al più presto possibile» di un dialogo per labolizione dei visti: nessuna promessa per un futuro ingresso nellUe. Sarkozy si è scusato: non potevo fare di più. E il presidente Yushcenko si è dovuto accontentare: è un primo passo, ha detto.
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