Dalla Russia con terrore (rosso)

Dalla Russia con terrore (rosso)
00:00 00:00

Nei giorni della Grande Rivoluzione, Paul Dukes è già in Russia da molti anni. Nato nel Somerset nel 1889 (muore in Sudafrica nel 1967), prima insegna inglese a Riga, poi si stabilisce a San Pietroburgo, dove studia musica. Parla russo quasi alla perfezione e non ha paura di nulla. Quando scoppia la Prima guerra mondiale dà una mano al Foreign Office con la propaganda bellica. Poi, nell'estate del 1918, riceve l'ordine di recarsi a Londra immediatamente: l'MI6 lo recluta per fare la spia nella Russia bolscevica. Decida lui come tornare in quella che è ormai Pietrogrado, dove alloggiare, a chi appoggiarsi e di chi fidarsi, e di quante e quali risorse abbia bisogno.

Se Dukes è un po' disorientato, non impiega molto a svegliarsi. Già passare il confine, ghiacciato e pattugliato, tra la Finlandia e la Russia comunista è un'avventura. Poi servono documenti contraffatti, una barba da russo, un nome ucraino (perché l'accento non è perfetto), un letto dove dormire... Dukes ama profondamente il popolo russo e la sua cultura, ma vuole anche salvarsi la pelle, e aiutare i suoi amici. Già, perfino le spie hanno amici, a modo loro. Basta leggere Crepuscolo rosso e il nuovo giorno, il memoir che Dukes scrive di quegli anni trascorsi a mandare dispacci sulla Rivoluzione, pubblicato nel 1922 e ora edito in italiano da Medhelan. Il libro è gustosissimo: se amiamo James Bond, come non adorare una spia inglese più o meno improvvisata nella città più letteraria di Russia, in un'epoca di confusione rocambolesca di ruoli e velleità politiche, di trasformazioni che segnano un intero secolo, di arresti sommari e fughe nei tubi di scarico, di donne affascinanti da salvare e loschi figuri di cui diffidare, di irruzioni in locali clandestini e incredibili evasioni dalla prigione della Ceka, "la più famosa di tutte le istituzioni bolsceviche"?

Fin da quei primi anni, Dukes coglie anche alcuni aspetti cruciali del regime sovietico. Per esempio: "Il fenomeno della Russia rossa è un supremo esempio del trionfo delle parole d'ordine, degli slogan e dei tormentoni politici sulla ragione. Stremato dalla guerra e dalla politica, il popolo russo credette facilmente a coloro che promettevano senza ritegno ciò che nessuno poteva dare, tanto meno chi lo prometteva". E ancora, la devozione del "vero bolscevico" eguaglia quella dei fedeli ortodossi, solo che i suoi "santi" sono venerati "per la veemenza con cui hanno promosso la guerra di classe, fomentato il malcontento e predicato la rivoluzione mondiale". Individua le carenze dei "bianchi", l'indifferenza dell'Occidente, la cecità degli oppositori, l'emergere "della più strana fra le anomalie, il bolscevismo da salotto". Nota che sui volti della gente di Pietroburgo, due anni dopo la Rivoluzione, è impressa "l'impronta della fame, dell'angoscia e del terrore: il terrore di quella stessa polizia zarista" che, illusoriamente, credevano di avere sconfitto. Analizza la struttura che il regime riesce mano a mano a ricreare e consolidare, assorbendo i vecchi elementi "borghesi" nei ruoli di comando.

E sottolinea, senza appello, "il grande abisso spirituale che separa il Partito Comunista dal popolo russo"; con la conseguenza che esso "si mantiene al potere solo intimidendo quegli operai e quei contadini da cui pretende di essere stato eletto". Come detto, il memoir di Dukes è del 1922. Perciò la verità era già, da subito, sotto gli occhi di chiunque volesse vederla.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica