Pechino 2008

Russo: "La mia medaglia contro il regime di Pechino"

Il pugile, sconfitto in finale nei pesi massimi, regala guantoni e bende al leader spirituale tibetano: "Spero possa cambiare qualcosa". Pace fatta con il ministro Meloni: "Mi ha portato fortuna"

Russo: "La mia medaglia  contro il regime di Pechino"

nostro inviato a Pechino
Perde ma adesso lotta per i cinesi che soffrono. Butta una medaglia, ma stasera gli affideranno la parte del portabandiera italiano nella cerimonia di chiusura: idea bislacca. C’è chi la merita di più. Bastano quattro pugni di un tracagnotto russo, nel senso della nazionalità, per spedire un altro Russo nel purgatorio degli incompiuti. Clemente Russo è riuscito a perdere un oro che l’Italia credeva a portata dei suoi pugni e, in cambio, ha cercato di riconquistarsi la simpatia della ministra Meloni. Sarebbe stato meglio il contrario. Ma ieri il chiacchierone di Marcianise è sceso da tutti i ring. Alla ministra, che aveva chiesto di boicottare la cerimonia d’apertura, ha promesso baci e abbracci. «Mi ha fatto gli auguri e portato fortuna: la medaglia è arrivata seppure d’argento». E, per completare la captatio benevolentiae, ha lanciato un appello sui generis per i diritti civili in Cina e dintorni e deciso di devolvere guantoni e bendaggi del suo match alla causa del Dalai Lama. «Non sembri irriverente, spero possa servire».
Al suo avversario, il tarchiato Rakhim Chakhkiev, lo stesso uomo che aveva incontrato e battuto nella finale dei recenti mondiali di Chicago, invece ha restituito il favore andando a infilarsi sui suoi pugni, cedendo alla sua tattica senza mai avere un briciolo di lucidità e brillantezza per far valere le proprie qualità.
«Deludente, ha fatto tutto il contrario di quanto doveva». Nella sintesi di Nino Benvenuti c’è il riassunto di un naufragio che il ring ha esplicato in termini minimi di punteggio (4-2), e l’interessato ha mostrato di non capire quando ha trovato scuse e scusanti, lamentandosi di un colpo fasullo dell’avversario. «Ho vinto io e basta», ha sentenziato. Salvo mettersi a piangere, per la rabbia, durante la premiazione. E ricredersi, almeno in parte, asciugate le lacrime.
Ma siccome il nostro peso massimo ha chiacchiera tracimante e inesauribile senso del protagonismo, non si è negato all’ennesimo colpo di teatro. «E adesso vi dimostro che del Tibet non me ne sono dimenticato», ha aggiunto nel finale del suo bla-bla. «Ho tre dediche per la mia medaglia. A me stesso perché ho coronato un sogno. Ai ragazzi: spero di essere un esempio per loro. La malavita non esiste solo nel casertano, come si dice sempre. Esiste dappertutto. Vorrei che i ragazzi si togliessero dalla strada e dai bar e andassero in palestra a fare la boxe. Infine voglio essere vicino ai cinesi, dedico la medaglia a tutti quelli che soffrono. Ce ne sono tanti. Ma credo che le olimpiadi contribuiranno a cambiare qualcosa. Oggi Pechino è piena di grattacieli, sembra New York». Sì, insomma, idee tante e un po’ confuse. La ministra apprezzerà la buona volontà. Ma la parlantina di Russo non può cancellare la brutta figura: pochi colpi e mal portati. Pareva una sfida di catch, pugili sempre avvinghiati. Nessuna scintilla di vera boxe. L’ultimo round si è iniziato in parità (2-2), poi è stato il russo vero a mirare e misurare i suoi pochi colpi. «Tutto sul filo della tensione, un gioco di testa dove l’altro è stato più bravo», ha concluso Damiani che oggi sparerà l’ultima cartuccia per restituire alla boxe un oro, dopo 20 anni.
Roberto Cammarelle parla meno, ma ragiona meglio di Russo. Il suo match, contro il cinese Zhilei Zang, un tipo che combatte alla Cassius Clay, assegnerà l’ultima medaglia dell’Olimpiade. In palio il titolo dei supermassimi, categoria prestigiosa nella quale l’italiano è campione del mondo. Ed è l’unico punto di vantaggio. Prima di derubare un campione del mondo, le giurie ci pensano. Cammarelle è ottimo nella tecnica. Visto il successo per ko in semifinale, ora ha trovato anche carattere e colpi giusti. Però, in questi giorni, le giurie hanno compiuto nefandezze perfino contro i cubani. In certi match è palpabile l’impressione che tutto sia deciso prima. Per stare tranquilli esiste una sola soluzione: metter ko l’avversario.

Cammarelle ci proverà.

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