MA SÌ, RESTINO TUTTI A CASA

A questo punto vogliamo gli scatoloni. Sì quelli che tutto il mondo ha visto con terrore nella mani dei dipendenti dell’americana Lehman Brothers. Che da un giorno all’altro si sono trovati senza lavoro e senza stipendio. Augurarsi che un’azienda fallisca è folle, ce ne rendiamo conto. E pensare che il futuro di 18mila persone sia da domani in poi in balia degli eventi è altrettanto crudele. Ma non ne possiamo più. Siamo disgustati dall’applauso che ha ricevuto il fallimento della trattativa con Colaninno&co. Siamo indignati del fatto che una categoria di privilegiati, come è quella dei piloti, condizioni una trattativa industriale. È inconcepibile che in Italia oltre allo Statuto dei lavoratori esista lo specialissimo Statuto Alitalia. Un ricatto a 60 milioni di italiani, un veto alimentato dal vizio della connivenza politica.
L’anno scorso in Italia sono fallite 246mila imprese, 290mila sono i dipendenti a rischio licenziamento e 22mila sono gli esuberi già contabilizzati nel 2008 dalle organizzazioni sindacali. E nessuno ha potuto fiatare: ciascuno chiuso nel proprio angolo di personalissima disperazione. Uno strappo nella vita di centinaia di migliaia di italiani colpiti dalla crisi economica o dalla semplice e brutale delocalizzazione. E per la maggioranza dei quali non esiste alcun ammortizzatore sociale. Figli di un dio minore che guardano alle giacchette verdi di Alitalia con gli occhi fuori dalle orbite. Per i tremila esuberi erano previste infatti tutele che il resto d’Italia senza lavoro si sogna: 80 per cento dello stipendio e per sette anni.
Basta, il gioco è finito. Manteniamo nella nostra coscienza collettiva quell’indegno applauso. Il governo ne tenga conto. E non si faccia vincere da una futile ricerca del consenso spicciolo. L’Italia è da un’altra parte. Guarda coloro che hanno fatto fallire la trattativa come un gruppetto di ubriachi che riescono a camminare solo perché si appoggiano l’uno all’altro. Adesso si cercheranno le responsabilità politiche: Silvio Berlusconi ha fallito su Alitalia. La cordata si è dissolta come neve al sole. Banca Intesa è stata debole. Tutte balle. Neanche il mago Zurlì può riuscire a ragionare con chi non ragiona.
Ma il governo adesso deve avere il coraggio di fare ciò che interessa davvero al Paese e non ai sindacati o ai dipendenti Alitalia. Rimettere in moto e in fretta il nostro trasporto aereo. Non si deve, e le prime dichiarazioni rilasciate dal ministro Sacconi fanno ben sperare, indulgere nel modello Olympic. La disastrata compagnia aerea greca che rinvio dopo rinvio continua a essere sussidiata dai suoi contribuenti. Non si possono immaginare altri prestiti ponte, ricapitalizzazioni, oneri a carico dei contribuenti, manovre oblique che mantengano in vita una corporazione fallita. Il commissario di Alitalia, oggi il capo azienda, proceda alla vendita degli slot e conceda a terzi i diritti di traffico gelosamente custoditi nel portafoglio Alitalia. Si crei in Italia un mercato del volo. Si liberi la rendita Milano-Roma per i migliori offerenti (per la verità il piano Cai comprensibilmente attribuiva quasi tutto a un solo soggetto). Si apra il traffico aereo, anche quello domestico, agli operatori esistenti. Si permetta di far atterrare e decollare da Fiumicino e da Malpensa chiunque garantisca tratte point to point per il resto del mondo. Lufthansa ha già le sue destinazioni internazionali dallo scalo di Varese e in prospettiva ha intenzione di ampliarle. Si moltiplichi l’esperimento.
C’è un ampio spazio perché il governo (unico nel panorama europeo) ribalti questa sconfitta di bandiera come un’opportunità per rendere competitivo e sano il nostro trasporto. Si scardini quella consuetudine assurda per la quale il privilegio di pochi insider fa premio sull’interesse più generale della collettività. E il governo, arbitro, regoli.

Faccia pure entrare gli stranieri, ma li metta l’un contro l’altro, affinché le tariffe siano le più competitive e la qualità sotto controllo. Berlusconi non potrà essere ricordato come il salvatore dell’Alitalia, ma come quello dei cieli italiani. Cosa è più importante?
Nicola Porro

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