Una giornata importante, ma non la fine dell’incubo per Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana di 43 anni su cui pende una condanna a morte per lapidazione. Ieri la mobilitazione internazionale a sostegno del suo diritto alla vita ha sortito un risultato concreto: il ministero degli Esteri della Repubblica islamica ha ufficialmente confermato che il suo caso, in particolare quello relativo all’accusa di adulterio, sarà rivisto e che la pena deve considerarsi sospesa.
Poche ore prima il Parlamento Europeo aveva votato praticamente all’unanimità (un solo voto contrario) una risoluzione in cui si chiedeva all’Iran di riesaminare il caso. Il Parlamento di Strasburgo ha anche chiesto di «sospendere» l’esecuzione di Ebrahim Hamidi, un iraniano di 18 anni accusato di sodomia e condannato a morte. La risoluzione, frutto di un compromesso tra tutti i gruppi politici, chiede alle autorità iraniane di «liberare senza indugio» tutte le persone imprigionate per aver manifestato liberamente e pacificamente.
Questo risultato ha giustamente provocato una lunga serie di commenti soddisfatti quando non entusiasti, tanto a livello europeo che italiano, dove tutti coloro che si sono impegnati per salvare la vita di Sakineh, dal governo all’opposizione alle istituzioni locali alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, hanno cantato vittoria. Da sottolineare in particolare il ruolo che, secondo fonti della Farnesina, ha svolto in questi giorni delicati l’Italia attraverso i suoi canali diplomatici, contattando l’ambasciatore iraniano a Roma e attivando il nostro a Teheran. Le trattative già avanzate per un incontro tra i due ministri degli Esteri hanno permesso al nostro governo di sfruttare l’occasione per chiedere con insistenza all’Iran di fare un passo indietro sul caso Sakineh.
Detto questo, è tuttavia doveroso sottolineare che il rischio di esecuzione capitale per la donna è ancora ben lontano dall’essere scongiurato. L’annuncio di sospensione va infatti considerato con attenzione: esso non è un annullamento e inoltre riguarda solo uno dei due procedimenti contro la donna, quello per adulterio che in Iran prevede la medievale condanna alla lapidazione. L’altro, quello per concorso nell’omicidio del marito, non è stato sospeso e continua regolarmente. Per esso, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Ramin Mehmanparast, «sarà emesso un verdetto finale». Ciò significa che la donna, qualora scampasse alle pietre per l’adulterio, potrebbe finire comunque impiccata per l’altro reato di cui è accusata. O eventualmente essere ancora lapidata se la sospensione venisse revocata.
Nell’annunciare la sospensione della condanna, Mehmanparast (che ha evitato con cura di usare il termine «lapidazione») ha insistito nel sostenere che il caso di Sakineh «è normalissimo, simile a quelli che esistono in altri Paesi» e ha accusato gli Stati Uniti di aver cercato di colpire l’immagine internazionale dell’Iran montando ad arte uno scandalo. Accuse di «interferenze» sono state inoltre rivolte alla Francia e all’Italia, i due Paesi le cui autorità si sono maggiormente esposte a difesa di Sakineh Ashtiani.
Da ultimo, le voci allarmanti che vengono dall’“altro” Iran. Gli attivisti per i diritti umani mettono in guardia dai facili entusiasmi e avvertono che Teheran è maestra in questi «giochetti». Da parte loro, l’avvocato di Sakineh Javid Houtan Kian e il figlio della donna Sajjad Ghaderzadeh hanno reso noto che proprio il giorno prima dell’annuncio di sospensione della sua pena la signora Ashtiani era stata di nuovo interrogata per due volte, fuori dalla prigione, a Tabriz dov’è detenuta.
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