Sono più di 15mila a Milano, oltre 37mila se si considera anche la provincia. Ecco le stime sul numero dei giocatori incalliti, quelli per cui il gioco dazzardo non è più divertimento, ma malattia.
A snocciolare queste statistiche è la dottoressa Fulvia Prever del Sert di via Albenga, una vita spesa a combattere quelle che genericamente vengono definite «altre dipendenze», tra cui ovviamente il gioco dazzardo. «Su Milano siamo carenti di dati ufficiali, ma tutto fa pensare che gli studi effettuati a Monza e Pavia siano indicativi anche per la nostra città. Le indagini rivelano che 1,2 persone ogni 100 abitanti sono affette da dipendenza dal gioco».
E chissà quante saranno dopo linvasione di nuove sale giochi documentata ieri dal Giornale. Le richieste dapertura, perlopiù provenienti da cittadini cinesi, sono 60. Il 3000 per cento in più che nel 2007 e quasi tutte concentrate in periferia. «È una cosa gravissima. In questi casi il rapporto è direttamente proporzionale: più posti per giocare significa più malati, non si scappa. Senza contare che le macchinette sono lo strumento più pericoloso in assoluto per la velocità della risposta (il tempo che intercorre tra la puntata e lesito ndr), e le loro luci colorate che attraggono anche i giovanissimi», dice allarmata la dottoressa. Le periferie, poi, sono terreni fertili per la febbre del gioco. «In quelle zone risiedono le fasce deboli della società. Quelle più esposte al rischio dipendenza».
La crescita del fenomeno è già di per sé costante da quando i monopoli di Stato hanno di fatto «sdoganato» slot machine, videopoker, bingo e scommesse sportive. «La questione non è se la legalizzazione dellazzardo sia un bene o un male. Piuttosto lattenzione va focalizzata sulla mancanza di investimenti dedicati alla prevenzione e al recupero dei soggetti caduti nella rete. E soprattutto sul controllo di certe forme di pubblicità al gioco», spiega la Prever.
Anche limmagine del giocatore è cambiata. Non è solo il soggetto fragile, quello con problemi personali gravi, che si fa divorare dal demone tentatore. «Oggigiorno chiunque può essere un potenziale giocatore problematico», chiarisce lesperta. Dal ragazzo che inizia a tentare la fortuna al bar nelle pause pranzo per tirare lora in cui deve tornare al lavoro, allanziano che riempie il videopoker di monete mentre si beve un «bianchino» con gli amici. Il gioco è insomma una «droga» trasversale, un po come la cocaina, ormai diffusa tra gli studenti, ma anche tra i manager di mezza età e i politici anzianotti, per fare esempi noti alla cronaca. «È addirittura peggio della coca. Innanzitutto perché, essendo più socialmente accettato e accessibile, attira più persone. Poi perché chiunque può iniziare senza essere del giro, come invece avviene per gli stupefacenti. E infine il tossico è più facile da individuare, mentre il giocatore o confida da solo la sua dipendenza agli altri o rimane nascosto».
Laspetto più grave della malattia del gioco sono le conseguenze. Soldi buttati via, sì. E dopo la corsa disperata per recuperarli. Spesso dagli strozzini.
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