Salute

Aggressività contro il partner, uno studio aiuta a far luce

Secondo gli scienziati, i risultati di questo studio sono importanti per costruire in futuro un modello cerebrale accurato di questi atti dannosi

Aggressività contro il partner, studio scopre la firma cerebrale

Perché le persone feriscono coloro che affermano di amare? In passato questo interrogativo ha spinto gli scienziati a indagare e a scoprire molti aspetti dei predittori psicologici e sociali e dell'aggressività rivolta verso il partner. Tuttavia, una comprensione delle cause neurobiologiche, ovvero di ciò che accade nel cervello, è sempre rimasta incompleta.

Un nuovo studio, pubblicato su "Biological Psychology" e condotto dai ricercatori della Virginia Commonwealth University, si è avvalso della risonanza magnetica funzionale funzionale per esaminare l'attività cerebrale di 51 coppie mentre queste ultime sperimentavano l'aggressività in tempo reale.

Si è scoperto che la stessa era associata ad un'abnorme attività nella corteccia prefrontale mediale del cervello (MPFC) che, tra le molteplici funzioni, ha anche quella di promuovere la percezione della vicinanza e del valore di altre persone. «Abbiamo capito - ha affermato David Chester, autore principale e professore associato presso il Dipartimento di Psicologia del College of Humanities and Sciences -che l'aggressività verso il partner ha una firma unica nel cervello. C'è qualcosa di distinto che si verifica a livello neuronale quando un individuo decide di danneggiare la propria metà; un processo che differisce in maniera significativa dalla rabbia contro amici o estranei».

Il team è riuscito ad osservare l'attività cerebrale delle coppie durante i momenti di aggressività chiedendo ai partecipanti di giocare a un gioco per computer contro tre persone, una alla volta: il partner, un amico intimo e uno sconosciuto. In realtà essi non sapevano che stavano giocando contro il pc. Il compito dei partecipanti era quello di premere un pulsante più velocemente dei loro avversari. Il perdente, è stato detto loro, sarebbe stato punito con una brutta esplosione di suono nelle cuffie. Gli studiosi hanno misurato l'aggressività offrendo ai partecipanti, e ai loro avversari fittizi, l'opportunità di selezionare il volume di quell'esplosione sonora. Un volume più alto rappresentava maggiore aggressività, un volume più basso, al contrario, corrispondeva a meno aggressività.

I soggetti hanno quindi avuto diverse occasioni di ferire o di non ferire ciascuna di queste tre persone, nelle quali è stato possibile riscontrare un cambiamento della loro attività cerebrale in base a chi si trovavano di fronte. Le conclusioni dei ricercatori si sono poi estese oltre il laboratorio, nel mondo reale. Si è infatti chiesto ai partecipanti di compilare un questionario convalidato chiedendo agli stessi se avessero perpetrato atti di violenza ai danni del partner prima dell'indagine. Gli scienziati hanno scoperto che l'attività della corteccia prefrontale mediale smussata era associata ad alcuni atti reali di violenza contro la propria metà.

Il team ha anche studiato come l'attività neurale di uomini e donne abbia influenzato l'aggressività reciproca, giungendo alla conclusione che quella femminile sarebbe prevista dalla risposta cerebrale del loro partner alla provocazione percepita. Ciò significa che l'atteggiamento scontroso del gentil sesso può, molto spesso, essere espressione di autodifesa.

Secondo i ricercatori, nel loro insieme questi risultati forniscono nuove intuizioni sulle regioni del cervello che potrebbero rivelarsi obiettivi fruttuosi per interventi che mirano a ridurre l'aggressività contro il partner e per aiutare la scienza a costruire un modello cerebrale accurato di tali atti dannosi.

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