Epidemie, cosa può accadere quando un virus muta

Secondo il presidente dell'Iss, Silvio Brusaferro, il Covid-19 non avrebbe subito un mutamento, ma secondo gli esperti è necessario prepararsi alle prossime epidemie e Massimo Clementi, del San Raffaele, avverte: "I coronavirus ci provano di continuo a fare il salto di specie per passare all'uomo e prima o poi ci riescono"

Epidemie, cosa può accadere quando un virus muta

Per Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di Sanità, a oggi, non esisterebbero evidenze della circolazione di "un virus diverso" e neppure "che ci siano state significative mutazioni nel virus né da noi, né negli altri Paesi europei". A riportare il parere del medico è stato il Corriere della sera, che chiuderebbe così il dibattito sul coronavirus scatenato dalle parole di Maria Rita Gismondo, direttore del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell'Ospedale Sacco, di Milano.

I pareri diversi

Nei giorni scorsi, Gismondo, riscontrando una particolare aggressività del virus in Lombardia, aveva dichiarato: "Sta succedendo qualcosa di strano. In Lombardia c'è un'aggressività che non si spiega. Le ipotesi possono essere tutte valide, una è che il virus sia forse mutato". Probabilità, quest'ultima, che non ha convinto parte della comunità scientifica, visto che l'Associazione Patto Trasversale per la Scienza, in queste ore, ha inviato una diffida legale alla scienziata, sia per aver inizialmente "minimizzato la gravità della situazione", sia per questo riferimento a una possibile mutazione del virus.

Le mutazioni dei virus

Eppure, in generale, i coronavirus possono mutare: secondo quanto spiegato da Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia all'ospedale San Raffaele di Milano e professore ordinario all'Università Vita-Salute San Raffaele, questi "hanno un genoma molto plastico che gli permette, per esempio, di passare con facilità da una specie a un'altra". Lo scienziato ha spiegato come il virus della Sars sia mutato nel corso dell'epidemia del 2003, dove si sono visti cambiamenti tra il ceppo di Guandong e quello isolato a Pechino: "Ma si trattò di piccole mutazioni, hanno consentito di mappare il percorso del virus, ma non hanno cambiato il suo comportamento (fenotipo) nei confronti del paziente contagiato".

L'evoluzione "darwiniana" dei virus

Secondo Clementi, "questi virus hanno un'evoluzione 'darwiniana', passando da una specie ospite all'altra e da un soggetto a un altro". "La Sars, in alcuni pazienti, dava un'infezione polmonare e renale grave, che si aggiungeva a quella polmonare: è ciò che è successo al mio grande amico Carlo Urbani, il medico marchigiano che, per primo, ha identificato clinicamente la Sars in pazienti vietnamiti", ha aggiunto il professore.

"I coronavirus si adattano all'ospite"

E alla domanda se il virus della Sars sia ancora in circolazione, Clementi risponde di no: "Non esiste più in natura. Quando me lo chiedono i miei studenti, rispondo: lo trovate dietro quella porta, a 20 metri da voi, congelato e ben sigillato in laboratorio. Ogni epidmia da coronavirus ha una durata, di qualche mese, e una fine, che può, per esempio, essere accelerata dall'arrivo dell'estate (come accaduto per la Sars)". E ancora: "I coronavirus si adattano all'ospeite diventano virus semplici: Sars-CoV-2, che ora ci fa tanta paura, potrebbe continuare a circolare entrando nel novero delle centinaia di virus che ci provocano il raffreddore. O, come il responsabile della Sars, sparire del tutto".

Le nuove epidemie

Ma come spiegato dal professore, il problema si riproporrà con il manifestarsi di altre epidemie: "Tra qualche anno ci sarà una nuova epidemia e poi un'altra ancora: la colpa sarà dei 'cugini' di Sars-CoV-2 e predecessori. I coronavirus ci provano di continuo a fare il salto di specie per passare all'uomo e prima o poi ci riescono. Dobbiamo essere pronti per affrontarli". Alla domanda su come l'uomo possa proteggersi da questi "assalti", Clementi ha dichiarato: "Serve un'attività approfondita di ricerca, che porti a farmaci e vaccini che ci possano difendere da future epidemie. In passato non si è fatto ed è stato un errore".

Un vaccino contro i coronavirus

"In teoria, sarebbe possibile anche mettere a punto un vaccino contro i coronavirus in generale, perché esistono dei determinanti di gruppo che possono essere identificato", continua Clementi. Che poi prosegue: "In questo momento, però, avremmo bisogno di farmaci antivirali specifici, per curare i casi gravi. Pensiamo all'epatite C, che ha infettato centinaia di milioni di persone nel mondo e per la quale non esiste un vaccino: ora abbiamo farmaci efficacissimi e quindi possiamo debellarla. La mia speranza è che questa epidemia finisca prima che arrivino nuovi farmaci o un vaccino, ma è importante che la comunità scientifica non si faccia trovare impreparata di fronte alle prossime epidemie".

Il salto bi-direzionale

E alla domanda su come si riesca a stabilire le modalità con cui un coronavirus passi all'uomo, Clementi cita delle tecniche chiamate "analisi dell'orologio molecolare": "Studiando il genoma del virus si riesce a comprendere quando è diventato umano: nel caso dell'Hiv è successo circa 300 anni fa in Africa, l'epatite C ha fatto il "salto" 4-500 anni fa. Un particolare coronavirus umano, chiamato NL63, che oggi provoca il raffreddore, è arrivato nell'uomo nel 1200, all'incirca ai tempi di Dante o dei suoi genitori. Essendo nuovo, qualche danno lo avrà certamete fatto, magari avrà causato un'epidemia".

Il professore ha poi chiarito come, in qualche caso, i coronavirus passino dall'uomo agli animali: "Uno di questi germi, che era umano, si è 'specializzato' nell'infettare i vitelli ed è temutissimo dagli allevatori, perché provoca una gastroenterite spesso letale. Il salto di specie, dunque, può essere bi-direzionale".

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